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- I LIQUORIFICI SENESI -

Nel ventennio Fascista quando l'autarchia linguistica proibì di usare parole straniere, molti liquori vennero italianizzati: il Doppio Kümmel divenne il Doppio Carvi, l'Arquebuse l'Archibugio, l'Apricot l'Albicocca, il Curaçao il Curassò (scritto come andrebbe letto), lo Cherry il Liquore di Ciliege, il Cognac l'Arzente, altisonante termine coniato da Gabriele d'Annunzio.
Poi scoppiò la guerra. Oltre ai generi di prima necessità, scarseggiavano anche le bottiglie nuove e quindi non rimaneva che ricorrere a quelle usate. La ditta Socini, unica vera distilleria di vinacce di Siena, sorta nel 1931 in via Simone Martini, il cui proprietario era nientemeno che il Podestà, imbottigliava i propri Cognac in bottiglie di birra importate dagli Alleati di oltre oceano, come si può osservare leggendo le scritte "made in Canada" o "not to be refilled" (vuoto a perdere), impresse in rilievo sul vetro. L'etichetta era minimale con nessun accenno di grafica, il tappo a corona.
Sempre a proposito di Cognac va specificato che tale terminologia fu consentita fino al 1949, poi la Francia proibì che le dicitura della sua regione venisse associata a prodotti che nascevano in altre parti del mondo. Nacque così l'attuale Brandy.
Per eludere questa legge, l'Arzilli, fondata nel lontano 1927 con sede in via Doccino, fuse tre parole in una soltanto. Ebbe così origine l'Arzignah, un condensato fra Arzilli/Arzente/Cognac commercializzato in bottiglioni da due litri, ottimo per "correggere" il caffè preso al bar.



Poi scoppiò la guerra. Oltre ai generi di prima necessità, scarseggiavano anche le bottiglie nuove e quindi non rimaneva che far ricorso a quelle usate. La ditta Socini, unica vera distilleria di vinacce di Siena, sorta nel 1931 in via Simone Martini, il cui proprietario era nientemeno che il Podestà, imbottigliava i propri Cognac in bottiglie di birra importate dagli Alleati di oltre oceano, come si può osservare leggendo le scritte "made in Canada" o "not to be refilled" (vuoto a perdere), impresse in rilievo sul vetro.
L'etichetta era minimale con nessun accenno di grafica, il tappo a corona.
Sempre a proposito di Cognac va specificato che tale terminologia fu consentita fino al 1949, poi la Francia proibì che le dicitura della sua regione venisse associata a prodotti che nascevano in altre parti del mondo. Nacque così l'attuale Brandy.
Per eludere questa legge, l'Arzilli, fondata nel lontano 1927 con sede in via Doccino, fuse tre parole in una soltanto. Ebbe così origine l'Arzignah, un condensato fra Arzilli/Arzente/Cognac commercializzato in bottiglioni da due litri, ottimo per "correggere" il caffè preso al bar.
Impropriamente queste nostre ditte erano chiamate distillerie, ma in realtà erano soltanto fabbriche di liquori, in quanto assemblavano i loro prodotti con ricette a base di alcool, acqua, tanto zucchero, estratti e coloranti.



Per Natale, alle più spartane e comuni bottiglie, se ne affiancavano delle più eleganti simili a quelle di cristallo oppure variopinte ceramiche che una volta svuotate potevano essere riutilizzate come soprammobili.
Addirittura la ditta Pacini che è tuttora ricordata per il "Latte di gallina", un energetico adatto agli sportivi a base di latte, produceva una crema mandarino che imbottigliava... all'interno di uno specchio!
Non è l'unica peculiarità di questa azienda che prima di trasferirsi a Castellina Scalo come ILP (Industrie Liquori Pregiati) subì diverse vicissitudini. Per lanciare sul mercato i propri prodotti, oltre ai normali canali di informazione, si avvaleva anche del supporto musicale. L'Elisir del Gran Paradiso diveniva così anche una canzone, dal ritmo lento, come testimonia l'originale spartito.
Tutto ciò ci consente di affermare che per circa tre lustri le fabbriche di alcolici nostrane abbiano goduto di ottima salute e non ci dobbiamo meravigliare se nel 1954 l'Ausonia vantava un catalogo composto da 7 sciroppi e da ben 77 differenti tipi di liquore: praticamente tutte le varietà esistenti sul mercato italiano, che le permise di varcare anche i confini regionali.
Per rendere il prodotto più appetibile al consumatore, si cercava di copiare il nome, il tipo di bottiglia e naturalmente l'etichetta di omologhi più famosi. Sempre l'Ausonia, sorta sul finire del 1946, ma che già dal 1950 aveva trasferito i suoi laboratori negli ampi locali della Cripta di San Francesco, produceva un Caffè Sport del tutto simile a quello ben più famoso della Borghetti, oggi di proprietà Branca di Milano.



La stessa cosa valeva per la ESCA di S.Prospero, con un Millefiori identico o quasi a quello della Cucchi.
Ma l'azienda, nata nel marzo 1947 e che in seguito diverrà CIDA - ESCA, prediligeva anche nomi di Paesi lontani: ne facevano fede i coloratissimi "Gran Liquore Russo" e il "Liquore Cinese" che pochi di noi hanno avuto il privilegio di assaggiare. Comunque il prodotto più apprezzato rimaneva l'Elisire di Santa Caterina, da cui derivava l'acronimo, venduto in una ceramica della Deruta anche nel Chiostro di San Domenico e in altri conventi del territorio.
La Ciardi, in via della Stufa Secca, angolo Vallerozzi, era famosa per i dolciumi e quando Luigi Scattina creò nel 1932 il celebre manifesto che reclamizzava il panforte, i liquori erano in produzione da pochi mesi a seguito dell'acquisto della ditta Ristori di via Doccino. Molto curati i vetri e le etichette delle prime bottiglie, nonché i gadget pubblicitari che si rifacevano a pratici orologi a muro.
Un'altra azienda che abbinava i panforti ai liquori, era quella di "Giuseppe Amaddii e Nipote", che sorta nel 1919, dapprima cessò l'attività il 31 marzo 1935, per riaprirla 16 giorni più tardi. L'industria dolciaria era in via cavour, quella dei liquori in via Ricasoli.
Sempre nel 1919, un profugo di nome Angelo Castellarin, nativo della provincia di Treviso, fondò come lui stesso amava definirla, l'omonima "Premiata Industria". Fissò il domicilio in via Regina Margherita, oggi via Don Minzoni e il suo cavallo di battaglia fu la China. E' un pezzo unico quell'elisir racchiuso in una confezione regalo databile intorno agli anni '20, con l'etichetta addirittura scritta a macchina, quindi non stampata.



Per completare il nostro studio, ci siamo avvalsi della collaborazione della Camera di Commercio che ci ha fornito preziose indicazioni sulle aziende liquoristiche artiginali che operavano all'interno della città e dei quali non eravamo riusciti a reperire alcunché, per la loro breve vita: il Franco Liquorificio di via dell'Oliviera 18 registrato il 30 novembre 1947 e la DILAS. (Distilleria Italiana Liquori Affini Siena), in via Santa Chiara 5, nata il 20 agosto 1948.
Ma non è finita qui: a Siena c'erano anche l'Etrusca in via dei Pispini, la FLEA (Fabbrica Liquori e Affini) in via dei Rossi e il Liquorificio Toscano di Menotti Cantini nel vicolo del Forcone.
Tornando ancor più indietro negli anni, troviamo che nel 1927 erano attive altre aziende quali: la Maluti in via Pescaia; la F.lli Paghi fuori Porta Romana; la Pulze in via Piave; la F.lli Staderini nella strada di Valli e la distilleria Di Lorenzo allo Stellino.
Questo elevato rapporto abitanti/liquorifici, ci fa riflettere, portandoci a credere che i senesi non erano proprio del tutto astemi!