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- LA REPUBBLICA DI SIENA -
a cura del dott. Fabrizio Gabrielli



Le origini di Siena sono incerte: siano comunque stati gli Etruschi o i Galli Senoni i primi organizzatori di un nucleo abitato, furono i Romani che, con la deduzione di una colonia militare, molto probabilmente nella seconda metà del I secolo a.C., dettero vita a una vera e propria città. La Siena romana, inserita tra i territori degli antichi municipi etruschi di Volterra, di Chiusi e di Arezzo, non raggiunse invero una grande importanza, anche perché piuttosto lontana dalle grandi vie consolari che si diramavano da Roma verso il Nord.


Fu solo nell'alto Medioevo, a partire dall'epoca longobarda, che Siena venne in primo piano tra i centri urbani toscani: l'ampia documentazione rimasta del contrasto che nell'arco di alcuni secoli divise i suoi Vescovi e quelli di Arezzo per i confini delle rispettive diocesi costituisce indubbia testimonianza di una notevole vitalità e di un iniziale slancio espansivo, che potremmo dire - pur con tutte le riserve del caso - anticipatore del futuro spirito comunale.

Dopo avere sperimentato l'amministrazione dei Gastaldi longobardi, la Città passò sotto il governo dei Conti franchi e più tardi, sia pure con limitazioni, sotto quello civile dei Vescovi, durante il quale si manifestarono i primi segni del regime autonomo del Comune e dell'espansione nel contado.

Nel 1186 i Senesi ottennero dall'Imperatore Federico Barbarossa e da suo figlio Arrigo VI la conferma della loro zecca e della libera elezione dei consoli: questa data viene considerata, giustamente, quella in cui il Comune di Siena ottenne pieno riconoscimento da parte dell'Impero, che esercitava l'alta sovranità sui territori dell'antica Marca di Toscana; ed il diritto di battere moneta allora conseguito, mentre politicamente rappresentò per Siena un simbolo di indipendenza, segnò anche il consolidamento della sua economia che ebbe nei secoli successivi importanza preminente per lo sviluppo sociale e culturale della città. A Siena, anche per l'ostacolo che la scarsità di acqua poneva allo sviluppo delle industrie, fu l'attività mercantile e bancaria che prevalse nel contesto economico.

Nei loro traffici sui mercati europei, i Senesi si trovarono ben presto in aperta concorrenza con i banchieri e i mercanti fiorentini. Era inevitabile, quindi, che Siena si dovesse urtare con la sua confinante altrettanto potente: ed a questo scontro l'impulso di gran lunga prevalente venne proprio dalla volontà delle due repubbliche di decidere con le armi la questione della supremazia commerciale, più che da mire di espansione territoriale. Le numerose guerre sostenute nella prima metà del secolo XIII tra Firenze guelfa e Siena ghibellina culminarono nella battaglia di Montaperti, che si svolse il 4 settembre 1260, dove l'esercito fiorentino fu annientato da quello senese.

Ma il trionfo di Siena ebbe breve durata, perché l'avvento al trono di Sicilia di Carlo d'Angiò, vincitore nel 1266 di re Manfredi alleato dei ghibellini toscani, segnò la netta ripresa della parte guelfa che, subito riaffermatasi a Firenze, prevalse pochi anni dopo anche a Siena. E da allora, per oltre 80 anni, la Città fu alleata di Firenze, Comune egemone nella Lega guelfa toscana.

L'epoca più feconda per la vita civile senese coincide con il Governo dei Nove (1287-1355), una magistratura di "gente di mezzo", che non escludeva la collaborazione dei magnati e che dette il massimo impulso alla costruzione di grandiosi cantieri (le cosiddette fabbriche), come quella del Duomo nuovo, di numerosi palazzi - tra cui quello pubblico - nel caratteristico stile gotico senese, e di gran parte della cerchia muraria: è proprio in questa epoca che la Città venne ad acquistare il suo suggestivo ed inconfondibile aspetto urbanistico. Anche in campo pittorico Siena si affermò in quei decenni con la sua celebre scuola, che già iniziatasi con Guido da Siena raggiunse i più alti livelli nella prima metà del Trecento con Duccio di Boninsegna, Simone Martini, Pietro e Ambrogio Lorenzetti, creando un proprio e originale linguaggio che sopravvisse sino a quasi tutto il secolo XV, nonostante il diffondersi delle nuove concezioni dei vicini artisti fiorentini ed umbri.

Siena al tempo dei Nove, pur non potendo più aspirare ad una supremazia politica nella regione, vide tuttavia proseguire la prosperità dei suoi banchieri e delle sue case commerciali, anche se il fallimento, nel 1301, della Compagnia dei Bonsignori (la Gran Tavola) non mancò di far sentire le sue gravi conseguenze sull'economia cittadina. Ma le energie di Siena erano ancora salde (del resto, com'è noto, fallimenti clamorosi si ebbero in quegli anni anche nella vicina Firenze) e fu solo a partire dal 1340 che una serie di eventi perturbatori - le carestie, il primo irrompere delle nefaste compagnie di ventura e, soprattutto, la famosa grande pestilenza del 1348 - poté arrecare un colpo decisivo al più solido governo della storia repubblicana della Città.

In questo clima ormai mutato, nel 1355, approfittando dell'appoggio dell'Imperatore Carlo IV, una parte del Popolo escluso dal governo insorse e, insieme con la fazione dei gentiluomini, si impossessò del potere costituendo il nuovo governo dei Dodici che non dette invero buona prova di sé. Si iniziò allora per Siena una lunga fase di instabilità politica (accompagnata dalla ripresa delle ostilità con Firenze), cui si cercò di rimediare, verso la fine del secolo, ponendo la Città sotto la signoria di Giangaleazzo Visconti, Duca di Milano.

Poco dopo la morte del Duca, la Città ritrovò la sua autonomia e, sia pure attraverso alterne vicende, conobbe ancora tanti momenti di splendore, specie al tempo del pontificato del grande Papa umanista Pio II, il senese Enea Silvio Piccolomini, il cui nome resta legato alla edificazione di Pienza, agli ideali generosi della Crociata e, per Siena, ai privilegi concessi al suo antico Studio, dove lessero, in questo periodo, Niccolò Tedeschi e Mariano Sozzini, il Panormita e il Filelfo.

Anche alla fine del XV secolo si verificò in Siena un "esperimento" signorile: quello di Pandolfo Petrucci, patrizio cittadino, che resse le sorti della Repubblica fino al 1512. Durante il suo governo rifiorirono largamente i commerci e risorsero talune industrie che avevano attraversato una fase critica; alla sua morte le lotte interne ripresero, ma esse non impedirono un grande sviluppo culturale, testimoniato anche dall'attività delle Accademie degli Intronati e dei Rozzi.

Siena si avviava ormai al declino della sua libertà politica e, dopo pochi decenni, assalita dalle milizie dell'Imperatore Carlo V, perse nel 1555 la sua indipendenza, passando poi, nel 1557, a far parte del dominio di Cosimo I dei Medici, Duca di Firenze.

Quello che per Siena romana era stato un fattore di debolezza - la relativa distanza rispetto alle maggiori antiche vie di comunicazione - fu interamente superato per Siena medievale con il modificarsi del tessuto viario della Toscana meridionale, conseguente all'impaludamento della Chiana. La Città, rinvigorita dall'apporto longobardo, venne infatti allora a trovarsi in una posizione stradale favorevolissima, all'incrocio tra la via Francigena o Francesca (asse principale delle comunicazioni fra Roma ed i paesi dell'Europa nord-occidentale) e la strada che muoveva verso Firenze e Bologna. Non si dice certo cosa nuova se si afferma che la vocazione mercantile e bancaria della Città trasse determinante incentivo da questa felice circostanza.

Così come le altre città dell'Italia dei comuni, anche Siena attrasse entro le sue mura le forze più vive del proprio contado: e tra queste, particolare importanza per i futuri sviluppi della vita civile ed economica cittadina ebbero le famiglie che detenevano, a vario titolo, ampi possessi fondiari, comunemente annoverate tra la media e bassa feudalità (anche se spesso erano solo titolari di terre in libera proprietà: i cosiddetti allodi). Da questo ceto dotato di elevata potenzialità economica e ben presto assimilato con le famiglie che gravitavano intorno alla curia vescovile (quali i vicedomini) uscirono le prime grandi casate mercantili senesi.

La famiglia medioevale, infatti, intesa nel senso di ampia consorteria, bene si prestava a una comunione di sforzi, quale appariva necessaria per intraprendere iniziative richiedenti apporti personali e finanziari notevolissimi. E intorno a queste comunioni familiari vennero poi sovente coagulandosi altri contributi, dando così vita alle vere e proprie società in nome collettivo caratteristiche del XIII secolo, mentre è incerta l'evoluzione verso il tipo di società in accomandita: era peraltro possibile a singoli capitalisti limitare il rischio, contribuendo con fondi dati in partecipazione o in deposito. Basti qui citare solo alcuni esempi: la Compagnia dei Piccolomini, la "Milites et Mercatores Senenses", esistente fin dal 1193; gli Angiolieri, che nella prima metà del '200 giunsero, con Angelerio avo del poeta Cecco, ad essere banchieri della Curia Papale ("campsores Domini Papae"), riscuotendo per conto di questa le decime ecclesiastiche; i Salimbeni, appaltatori delle gabelle dell'Impero, uno dei cui membri, Salimbene, fu in grado - alla vigilia della battaglia di Montaperti - di finanziare larga parte dello sforzo bellico del Comune; e poi i Tolomei, i Gallerani, i Colombini, e nei secoli successivi, gli Spannocchi e i Chigi.

Ma per tornare al XIII secolo non possiamo certo tacere la già ricordata Gran Tavola dei Bonsignori che, costituita nel 1209 dai membri di questa famiglia, ricchissima di beni in Siena e nel contado, andò poi assorbendo altre energie, fino a trasformarsi nella più grande compagnia bancaria europea del '200, attiva in tutti i centri del potere economico e politico del mondo occidentale. La crisi e il fallimento della Compagnia, tra la fine del XIII secolo e gli inizi del XIV, furono determinati da dissidi tra i soci più che da vere e proprie difficoltà economiche: e non fu certo estranea a tale evento l'ostilità dimostrata verso questa famiglia dal gruppo dei Nove allora al potere a Siena. Vastissimi furono i traffici intrattenuti dai Senesi con i principali paesi d' Oltralpe, come la Francia, le Fiandre, la Germania, l'Inghilterra, gli Stati danubiani. Vale qui ricordare l'assidua presenza dei mercanti e banchieri senesi alle famose fiere della Champagne che si svolgevano a Troyes, Provins, Bar-sur-Aube, Lagny, e nelle quali essi svilupparono, unitamente alle operazioni più propriamente mercantili, le proprie attività di cambiatori di valuta.

Con l'esercizio del cambio, e dei relativi arbitraggi tra le varie monete correnti, si venne delineando una più specifica attività bancaria. Tipica espressione ne fu il largo sviluppo della "lettera di cambio" (che più tardi nei secoli diventerà conosciuta col nome di cambiale), vera e propria moneta scritturale che permetteva di effettuare pagamenti nelle più lontane località da parte di chi avesse depositi presso un banchiere in rapporti di corrispondenza con operatori all'estero: anche se, come è stato giustamente sottolineato, il largo impiego di questo strumento fiduciario non comportò una circolazione effettiva sotto forma di titolo all'ordine (per arrivare al vero e proprio assegno bancario bisognerà, infatti, giungere alla fine del XIV secolo). Il cambio e la compravendita erano utilizzati, altresì, per porre in essere veri e propri prestiti con corresponsione di interessi.

Le compagnie, attraverso queste attività, vennero in possesso di grosse disponibilità finanziarie, tali da consentire cospicui e lucrosi (ma peraltro assai rischiosi) prestiti ai potenti politici; i minori banchieri - i cosiddetti "Lombardi" - si dedicarono, dal canto loro, al piccolo credito, sovente in concorrenza con gli ebrei, partendo per lo più da una base mercantile.

Con l'inoltrarsi del XIV secolo, nel generale mutamento delle condizioni politiche ed economiche italiane, la città di Siena vide a poco a poco tramontare il suo ruolo di primario rilievo in campo bancario. Le grandi famiglie che ne avevano determinato la fioritura andavano sempre più orientando il proprio interesse verso gli investimenti nell'agricoltura, mentre altre avevano concentrato la loro attività nei principali centri politici della penisola (si pensi, ad esempio, alla intensa attività finanziaria svolta dai Chigi a Roma nell'età rinascimentale). Tuttavia, seppure su di un piano di minor respiro, l'attività creditizia delle Compagnie private di Siena proseguì per secoli: ed anche nella prima metà del '500 - epoca quanto mai burrascosa per la Città - vediamo presenti in importanti centri commerciali italiani e stranieri (tra cui Lione) banchieri appartenenti alle famiglie senesi degli Spannocchi, dei Borghesi, dei Colombini, dei Petrucci e dei Piccolomini.