www.ilpalio.orgwww.ilpalio.org



Vogliamo sperare, non avendo prova contraria, che Faustina sia stata una buona moglie e Campanino un buon marito.
Sicuramente non lo fu Bernardino Calvellini detto Beniamino, che al vizio di picchiare la moglie ne assommava molti altri.
Il 9 gennaio 1821 “fu condannato per bestemmie contro la Divinità alla carcere e gli fu fatto precetto di adattarsi al lavoro, di ritirarsi in casa alle ore 24 (ossia al tramontar del sole), di non introdursi in alcuna osteria, bettola, o cantina, di astenersi dal minacciare, e percuotere la propria moglie, e di condursi da buon marito”. Tale precetto però non riuscì a modificare le pessime abitudini di Beniamino. Dopo appena un anno, il 2 febbraio 1822, nel sortire da una non meglio identificata bettola del Chelli, venne arrestato per aver tirato un pugno a Pietro Valenti che lo stava insultando per non avergli restituito “due quattrini… avanzo di denari sborsati per un fiasco di vino”.
Sempre in quell'anno, il 13 ottobre “Circa le ore nove dalla Vigilanza di Polizia, furono sorpresi:
- Giovanni Toti calzolaro
- Giuseppe Sinibaldi salnitraio e
- Bernardino Calvellini calzolaro,
mentre in contravvenzione agl’ordini veglianti giocavano al domino nella bettola di Giuseppe Buscagli, situata presso il canto dei Tre Cristi”.
La sfortunata moglie di Beniamino era Margherita Cappelli, figlia di Vincenzo, fantino che corse dal 1806 al 1809. Da buon padre, il Cappelli l’8 dicembre 1828 intervenne presso il genero in difesa della figlia continuamente percossa e maltrattata, ma Beniamino gli rispose nel modo che ci racconta il Capitano del Bargello di Siena:
“Ieri sera dopo le ore sei, da un tal Bernardino Calvellini dell’età di 32 anni di mestiere calzolaro, coniugato con più figli, e dimorante presso Santa Lucia, fu scagliato due pezzi di mattone a un certo Cappelli, di lui suocero, producendoli due ferite nella testa, che una nel sopracciglio sinistro, profonda un pollice, e l’altra sulla gobba frontale dell’istesso lato, e della medesima profondità, per cui nella seconda vi riscontrò il Chirurgo curante la lesione del periostio e perciò di grave pericolo.
Tali offese le ricevé il Cappelli dal rammentato suo genero, per essersi posto in difesa della propria figlia, che veniva percossa, secondo il solito, senza discrezione dal marito”. Da quello che in seguito si legge negli atti processuali, “l’imputato fù ristretto in Carcere Segreta nella sera del dì 8 Dicembre 1828 e fù rilasciato con precetto penale nel dì 19 dello stesso mese, e dichiarò di non volere essere presente al giudizio della causa che lo riguarda, e di volere essere difeso dall’avvocato dei poveri”.
A cinquant’anni Beniamino non aveva affatto perso il vizio, ma se mai lo aveva accentuato. Due rapporti del Capitano di Polizia, a distanza di appena quattro giorni l’uno dall’altro, denunciarono i suoi maltrattamenti.
23 maggio 1847. “Con altro mio verificabile rapporto ho fatto carico al calzolaio Bernardino Calvellini senese di condotta irregolare in famiglia per le sevizie che pratica verso la moglie e i figli, ai quali depaupera le sostanze con una vita oziosa e dissipata, distraendo perfino le masserizie di casa onde mantenere i suoi vizj”.
27 Maggio 1847. “Il consaputo Bernardino Calvellini, calzolaro dimorante in Piazza S.Lucia, di recente sottoposto a frenative ingiunzioni, e da me posteriormente addebitato di recidivo irregolare contegno in famiglia, si diede di nuovo jeri sera ad usare le solite sevizie verso la moglie, e i figli, le quali essendo accompagnate da clamorosa pubblicità fu il Calvellini medesimo dagli Agenti di Polizia arrestato e ristretto in Carcere di Custodia, per inosservanza alle dette ingiunzioni”. Nel frattempo Vincenzo, suo suocero, negli ultimi anni della sua vita aveva visto in faccia la miseria: il 9 aprile 1838 “sull’ora meridiana del perduto giorno essendo stato sorpreso a questuare presso la Lizza il vagabondo accattone Vincenzo Cappelli della cura di S.Quirico venne tosto inviato in Commenda”.
Beniamino è stato forse l'unico fantino figlio di un capitano di Contrada. Suo padre Antonio, che vantava lo stesso suo soprannome, lo fu per il biennio 1803-1804 nella Selva. Lavorava come maniscalco di faccia al Palazzo del Magnifico e quindi come cuoco alla locanda della Scala non lontana dall’attuale via Franciosa dove abitava con la moglie Maria Bernardi detta, manco a dirlo, la Begnamina.



Tratto da FANTINI BRAVA GENTE di E.Giannelli, M.Picciafuochi, A.Ferrini e O.Papei - Betti Editore, Siena 2014