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L’ultimo omicidio commesso da un fantino risale ai primi anni del Novecento.
Girolamo Vigni detto Pippìo o Momo esordì nella Selva il 16 agosto 1898 e nella stessa Contrada conquistò la vittoria nel Palio del successivo 2 luglio. Corse poi altre cinque volte fino all’agosto 1901.
A interrompere la sua carriera di fantino fu un omicidio da lui commesso il 23 febbraio 1902 a Monteroni d’Arbia, dove era nato e dove abitava.
“La Vedetta Senese” si occupò a fondo del processo, che ebbe inizio nel successivo mese di giugno, pubblicando dettagliati resoconti delle deposizioni e delle testimonianze rese in udienza dinanzi alla Corte d’Assise di Siena.
“Udienza del 10 giugno 1902
Vigni Girolamo detto Momo, di Giuseppe e di Ferratti Violante, di anni 24, barrocciaio di Monteroni d’Arbia, è accusato di omicidio volontario per avere verso le ore 21 del 23 febbraio scorso, in Monteroni d’Arbia, con intenzione di uccidere, inferto a Pistolesi Antonio un colpo di coltello alla regione toracica sinistra, causandogli una lesione penetrante in cavità, interessante il pericardio e il cuore, nel ventricolo di sinistra, la quale lesione fu causa unica ed immediata della morte del Pistolesi, in seguito alla grave emorragia interna.
L’accusato è un giovane piuttosto alto e di giusta corporatura; veste pulitamente di un vestiario di casimirra scura, con camicia di color chiaro, con solino rovesciato e con cravatta chiara a nodo. La sua faccia presenta alcuni di quei segni caratteristici che i medici legali chiamano antropologici.
Ha gli occhi molto infossati nelle orbite e le orecchie pronunciatissime; ha piccoli baffetti e capelli rasati color castagno.
Appena vede entrare la Corte e i giurati si mette a piangere, nascondendosi il volto in un fazzoletto bianco, e continua così per tutto il tempo che occorre per esaurire le lunghe formalità volute dalla legge per la costituzione della giuria.
È difeso dal cav. avv. Enrico Falaschi.
Dalla lettura dell’atto di accusa si apprende che fra il Vigni e il Pistolesi esistevano dei vecchi rancori a causa di lire 1,50 che il Pistolesi avanzava dal padre dell’accusato per residuo di certo fieno vendutogli. Essendo andato il Vigni a richiedere altro fieno al Pistolesi, questi si rifiutò di venderglielo fino a che non avesse tolto di mezzo quella pendenza.
Così stavano le cose, quando la sera del 23 febbraio scorso il Vigni, veduto il Pistolesi nell’appalto di Monteroni, lo apostrofò con le parole: Pidocchioso vieni fuori-.
Il Pistolesi uscito fuori si abbaruffò con il Vigni e caddero tutti e due a terra, picchiandosi vicendevolmente alla presenza di molte persone accorse al tafferuglio.
Rialzatosi, il Pistolesi si dette alla fuga, ma il Vigni, che nel frattempo si era armato di un coltello, lo rincorse e raggiuntolo gli inferse quella coltellata che gli causò la morte, dicendo: - Ora a Monteroni non ci tornerai più -.
Udienza pomeridiana.
Interrogatorio dell’imputato
Vigni nega che il Pistolesi sia rimasto suo creditore nella vendita del fieno accennato nell’atto di accusa, assicurando di averglielo pagato interamente lui stesso con un foglio di 50 lire a cui rifece il resto.
Essendogli poi occorso dell’altro fieno, suo padre andò a richiederglielo, ma il Pistolesi rispose che non ce l’aveva e se anche ce l’avesse avuto non glielo avrebbe dato perché doveva avere ancora la rimanenza del primo.
La domenica successiva a questi fatti egli vide il Pistolesi nell’appalto di Monteroni e lo chiamò fuori, dimamdandogli perché aveva detto a suo padre di avanzarvi, mentre lo aveva pagato lui stesso con un foglio da 50 lire.
Il Pistolesi uscì subito dall’appalto e cominciò subito a tirargli pugni gettandolo a terra varie volte; in questo frattempo giunse il Pallassini che gli disse: - O non ti vergogni a buscarne da un contadino?- e porgendogli il coltello aggiunse - Tieni, dagli una coltellata -.
Allora fu che, continuando il Pistolesi a tempestarlo di pugni alla testa da stordirlo, egli gli ammenò quel colpo.
Presidente gli contesta che vi sono dei testimoni che affermano avere egli rincorso il Pistolesi fino fuori del paese, mentre fuggiva, e anche il Pallassini nega di avergli offerto il coltello, dicendo invece che glielo aveva levato di tasca”.
Il processo prosegue con l’audizione dei testi. Oggetto principale delle deposizioni è l’accertamento dello stato di ubriachezza del Vigni, confermato da tutti i testimoni della difesa che evidentemente puntava su quella circostanza per farla valere come attenuante. Sfilò quindi dinanzi alla Corte un gran numero di testimoni: Giovan Battista Pacchiani colono, Bernardino Giannelli fabbro, Giuseppe Mantengoli Guardia Comunale, Angelo Corbelli colono, Angiolo Leopardi colono, Primo Galassi sellaio, Giulio Petreni, detto Conigliolo, vetturino, Armando Civai bracciante, Antonio Cresti barrocciaio e Giovanni Parri mugnaio. Tutti costoro, tranne il Pacchiani e il Giannelli, citati dall’accusa, furono concordi nel dichiarare che il Vigni era conosciuto in paese come un brav’uomo e che tuttavia quella sera aveva bevuto molto.
Fra i testimoni incontriamo anche un fantino, Angelo Volpi detto Bellino, il quale per inciso aveva all’attivo quattro vittorie, di cui tre consecutive riportate nei tre Palii immediatamente precedenti a quella data. Ecco la sua deposizione: “Il Vigni è un buonissimo ragazzo; il Pistolesi invece era un po’ letichino. Del fatto non fatto non sa nulla di scienza propria, non essendovi stato presente. Il Vigni ha il vizio di bevere molto”.
“Seduta dell’11 giugno
L’udienza fu sospesa alle ore 12,10 e ripresa alle 15
A quest’ora l’egregio presidente dette lettura delle questioni e, dichiarato chiuso il dibattimento, fece il riassunto del dibattimento con somma chiarezza, precisione ed imparzialità.
Spiegate quindi le questione ai giurati, questi si ritirarono nella sala delle deliberazioni alle ore 16 e dopo circa mezz’ora rientrarono emettendo un verdetto con il quale ritenevano il Vigni responsabile di omicidio volontario, ammettendo l’infermità di mente per l’ubriachezza, negando la provocazione e concedendo le circostanze attenuanti.
La sentenza:
la Corte condanna il Vigni a 8 anni e 9 mesi di reclusione e a due anni di sorveglianza”. Il Vigni però non riuscì a scontare per intero la pena, perché morì neppure ventottenne nel carcere di Reggio Emilia il 12 maggio 1906.



Tratto da FANTINI BRAVA GENTE di E.Giannelli, M.Picciafuochi, A.Ferrini e O.Papei - Betti Editore, Siena 2014