Spigolature
- Francino Innocenti frequenta la scuola serale. Si rivolge a Dedo, conoscendo la sua allergia per le cose religiose, e per scherzo gli dice:
"Dedo si deve andare a pulire la chiesa”. Dedo, che aveva sempre la battuta pronta per ogni evenienza, anche quella volta non rimase zitto:
"Se tutti ci vanno quanto ci vo io, non c'è bisogno di pulirla".
- Don Ottorino, una sera poco prima di Pasqua, parla con Dedo per certi affari. Sono soli nel salottino della canonica:
"E poi, potresti venire anche in chiesa ogni tanto", gli rammentò il curato a bassa voce.
"Mah, guarderò se per questo Natale ci fo una scappata".
Ancora Dedo del quale si ricorda la particolare propensione ai racconti buffi e un po’ sboccati. Lavorando presso il mulino Bonucci al Palazzo dei Diavoli usava indossare una semplice maglietta a carne e dei pantaloni larghi di color bianco da mugnai. Pantaloni semplici che gli operai tenevano legati alla vita con spaghi da sacchi invece di usare cinture di cuoio. Un giorno capitò a Dedo di avere un bisogno corporale e si avviò al gabinetto con una certa urgenza. Non aveva fatto i conti, però, con il nodo dello spago da sciogliere per calarsi i pantaloni. Un nodo secco che non riusciva a slegare. Provò e riprovò e passò del tempo e ormai la situazione era divenuta insostenibile e... “Oooohhh”, se la fece nel calzoni.
- Molti detti facevano parte della parlata familiare e quotidiana. Sergio del Losi tornava a casa e berciava da fondo delle scale:
"Mamma ho fame", e Ida rispondeva:
"Mangia me!", oppure
"Tira la coda al cane, ti dà un pane e un salame". In casa Carli alla domanda dei ragazzi
“Che si mangia?”, “Pane e rizzati” rispondeva la massaia.
- Un passatempo occasionale, e idiota, quando ti trovavi nel pollaio. Consisteva nel prendere un pollo e mettergli collo e capo sotto un’ala. Ben afferrato, veniva fatto poi roteare velocemente e quindi stordito con un bercio. Il pollo rimaneva immobile, come morto, in quella posizione per molto tempo. Un po’ lo guardavi poi, come tutti i giochi, veniva a noia e ci si rivolgeva ad altro.
- Assolutamente vietato alle donne che avevano le loro cose impastare il pane o la pasta del salame, quando lavoravano il maiale, pena la perdita della pasta che non si amalgamava, almeno così dicevano.
-
Lo studio. La mi’ mamma voleva che studiassi dalla mattina alla sera, mentre io preferivo trascorrere le giornate a divertirmi. Mi nascondeva la palla di gomma e io la cercavo frucando dappertutto, anche in quello stanzino di sgombro accanto alla stanza dei limoni. Un sera, non riuscendo a trovarla, arrabbiato diedi un calcio a un cestino, e solo dopo mi accorsi che era pieno di uova che covava la chioccia. Ma ormai la frittata era fatta.
- Un giorno, verso il 1959, la mi’ mamma portò a casa una bella e lustra bicicletta da donna e la posteggiò nello studio del mi’ babbo. Quando la vidi, meravigliato e contento, gli chiesi subito dove l’aveva comprata:
“Dalla moglie dell’Ancilli, al Leccino” disse. Poi aggiunse
“... per un fiasco d’olio”. La mise in sala e non ci fu verso di montarci per fare una giratina nè quel giorno nè in seguito. La roba andava tenuta bene sennò si sciupava.
- Nelle lunghe escursioni che facevamo da ragazzi, passando per viottoli di bosco e per i campi lavorati, capitava di attraversare piccoli borri e rigagnoli; le loro acque pulite ci calmavano la sete. Prima di bere, però, era d’obbligo la recita di uno scongiuro:
“Acqua corrente ci ha bevuto il serpente l'ha mandata il buon Dio ci posso bevere anch'io”. Bastava dirla e l'acqua non faceva male.
- Passava il tempo e i ragazzi crescevano:
“O quanto sei alto, sembri una pertica”.
- Dino Carli raccontava che il su’ babbo quando non ubbidivano li aveva chiusi in cantina. C’era tanta severità delle famiglie verso i ragazzi, soprattutto dai babbi e la punizione più frequente era quella di andare a letto senza cena.
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Lorio: “Gosto veniva in bottega, alla Cooperativa:
“Quanto costa questa roba", tanto, "Ladri che non siete altro", e se ne andava”.
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Rondini. Per San Benedetto la prima rondine sotto il tetto. Infatti era proprio sotto le sporgenze dei tetti dove rondini e rondoni rientravano a primavera nei loro nidi di terra secca e paglia: vi covavano e si vedevano far capolino. Al loro primo apparire salutavano svolazzando rapide nel cielo di Quercegrossa. Cinguettando in cerca di bachi sfrecciavano agilissime fino a sfregare la terra, mostrandosi nel loro bicolore piumaggio nero e bianco. Era il tempo del risveglio primaverile, e le numerose rondini ne facevano parte. Era un autentico spettacolo.
- Un detto usuale a tanti popoli riferito ai defunti:
“Quando la campana si muove o tre o sei o nove”. Un altro detto quando si spazzava casa:
“Non mi spazzà le scarpe senno un trovo moglie”.
- Pianto: Attilio Bernardeschi aveva una ciuca che ragliava a lungo, storcendo la bocca, tanto da annoiare, e di conseguenza venne di moda quando un ragazzo piangeva disperato con lacrime e boccacce, dirgli:
“Stai zitto che sembri la ciuca del Bernardeschi”.
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Aringa: oltre a quella salata da cuocere sulla brace veniva chiamato un capo di vestiario cioè la cravatta che gli assomigliava tanto:
“Che bella aringa che hai!”.
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Chi guasta la vigilia di Natale corpo di lupo e anima di cane. Era talmente radicata l’osservanza della vigilia nel popolo tanto da far scaturire un proverbio del genere.
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Pulci. Come i pidocchi che infestano corpi di uomini e animali così faceva la pulce che invadeva inoltre letti, divani e cose simili. Si trovava nei letti soprattutto di quelle famiglie che non curavano troppo la pulizia e mettevano le lenzuola alla finestra quando se lo ricordavano. La poca attenzione portava inevitabilmente a riempir la casa di questi animaletti neri e saltanti; ci si accorgevano della loro presenza al primo secco pizzico. La zia Ernesta, dalla quale la mi’ mamma si recava spesso e vi rimaneva quindici, venti giorni, aveva la casa sempre piena di pulci. Per debellarle usavano una polverina bianca.
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Fuori verde. Un’usanza completamente obliata e la cui origine è sconosciuta. Si praticava in Quaresima e consisteva nel chiedere a tutti, ma generalmente agli amici:
“Fuori verde”, e l’interpellato doveva mostrarti una piantina di verde.
“Noi si andava dal Mosca a Larginano a prendere le piantine di verde nella siepe e si metteva in tasca. Fuori verde... ci volevano quelle piantine soltanto e non altre”. Spesso anche i giovanotti ne approfittavano per attaccar discorso con le ragazze:
“Ora se mi chiede fuori verde che gli rispondo”.
Un’altra usanza della Quaresima, ma generalmente avveniva fra ragazzi ed era un gioco particolare punito con la penitenza se quando ti chiamavano per nome non rispondevi "Quaresima":
“Lorenzo?”. “Quaresima”.
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Vaiolo. La vaccinazione antivaiolosa ai miei tempi era obbligatoria. Squadre di ragazzi del Comune di Monteriggioni venivano portati all’età di 8/9 anni a Fontebecci, in quell’ambulatorio dove oggi è la banca. Un medico, munito di un sottile strumento simile ad una penna da inchiostro con tanto di pennino, ti graffiva più volte sulla spalla sinistra, inoculandoti così il vaccino.
La vaccinazione antivaiolosa a Siena venne promossa dall’occupante francese nel 1809, ricordando che il vaccino era stato scoperto nel 1796 da dr. Jenner:
Avviso Salutare del Comitato Centrale di Vaccina. Abitati del Dipartimento dell’Ombrone.
Il Comitato Centrale di Vaccina è ben soddisfatto del vostro interesse per l'inoculazione del Vajolo Vaccino, e perciò contento delle sue premure, di quelle degli altri deputati e dello zelo dei professori Mille seicento vaccinazioni furono eseguite col più felice successo in tutto il Dipartimento nell'anno 1809, il primo dell'istituzione dei Comitati; e sopra tremila nel 1810. Con questo benefico innesto si sono salvate nove Comuni, ove si era sviluppato il Vajolo Arabo. Questo pestifero contagio serpeggia nondimeno in qualche Cantone del Dipartimento ... Genitori due anni di felice esperienza non può farvi più dubitare un momento della bontà ed efficacia di questo innesto per salvare i vostri figlioli dal flagello del Vajolo Arabo... Siena dalle Stanze del Comitato Centrale di Vaccinazione 1 maggio 1811. Gandolfo Presidente”.
Poche le opposizioni e una di natura economica:
“Il Comitato Centrale di Vaccina per distruggere alcune voci fra il popolo specialmente della campagna che l’inoculazione non sia altrimenti gratuita, come il Comitato stesso aveva assicurato con i suoi proclami, ha creduto di pubblicare l’avviso ... affinchè voglia avere la compiacenza di farne pervenire un esemplare a ciascun curato della sua diocesi invitandolo a leggerlo all’Altare mentre il popolo è riunito e possa affiggerlo alla porta della propria cura. 5 luglio 1810”.
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Morte secca. Nella vigilia della festa della Madonna di settembre, una zucca vuota diventava una luminaria e da noi divenne la "morte secca", per far paura ai passanti. Tagliata in alto e svuotata vi venivano praticati dei fori corrispondenti agli occhi al naso e alla bocca dell'uomo. Poi vi veniva introdotta una candela che nel buio faceva risaltare i fori praticati, assumendo l'aspetto orribile di una "morte secca", cioè del teschio. A Quercegrossa si lasciavano sul muro del Moro, e illuminavano sinistramente il cammino. In antico la candela era sostituita da un torzolo di granturco, che untato bruciava lentamente.
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Dino. I Mori da Vignale si trasferiscono definitivamente a Quercia nel 1919. Al piccolo Dino, un grande gli disse scherzando:
“Noi si va a Quercia, te che fai? Vieni o no? Ma ci hai la chioccia a covare”. Allora Dino tolse la chioccia dal cestello, cavò tutte le uova e le butto via.
“Ora posso venire”, disse.
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Fidanzati. In casa Rossi dopo la morte della mamma Ersilia, la zia Gina la sostituì in tutto e per tutto nella conduzione della famiglia e brontolava spesso le sorelle Maria e Piera. Un giorno del 1944 si trovavano a lavare alla fonte del Losi, e la mi’ mamma gli confidò che Elio Mori si era dichiarato e voleva fidanzarsi. Gina, si sentì di darle dei consigli e la sconsigliò vivamente. Cominciò a dirle che Elio la prendeva in giro e non era per lui. C’era di mezzo la differenza di anni (quindici), la situazione economica delle famiglie e soprattutto ricordandogli l’altro fidanzato Aldo Regoli di Valiano che era in guerra, ma non dava notizie da tanto tempo. Insomma, la faceva lunga. Allora la mi’ mamma, irritata da queste osservazioni che non voleva accettare, prese una pesante coperta inzuppata d'acqua e gliela tirò in testa, ricoprendola e infradiciandola tutta. La zia Gina si mise a piangere. Maria fece come gli parve e sposò Elio.
Un caso simile successe anche alla zia Piera fidanzata con un certo Santi Di Gaetano, un poliziotto siciliano di Milazzo, di stanza a Siena. Siamo nel 1952/53. L’ufficiale veniva la sera con la Sita a Quercia per pochi momenti, ripartendo con quella delle diciannove che io ben ricordo, e lo vedo salutare ancora mentre chiudeva lo sportello della Sita. Altre volte noleggiava una bicicletta a Siena e arrivava con quella. E’ chiaro che la zia Gina e lo zio Guido agivano per il bene di lei tentando di dissuaderla dallo sposare questo meridionale sconosciuto del quale ben poco sapeva. Fecero di tutto per farla smettere: gli nascondevano la posta e li boicottavano con ostilità. Ma i due si volevano bene e questa intrusione mandò in bestia Pierina. Ma alla fine cedette e Santi chiese e ottenne il trasferimento a Viareggio mettendo fine la storia. Rimase però il dubbio che avesse un’altra fidanzata a Firenze dove si recava spesso.
Qualche anno dopo, Pierina si sposò con Renato Stracciati. L’aveva conosciuto alla festa di Petroio, quando giunse con un amico in motocicletta e scherzando allegramente sviaggiava intorno al gruppetto di ragazze a piedi. La sera stessa si ritrovarono a ballare a Quercia e dopo poco si fidanzarono.
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Transumanza. Un pastore che effettuava la transumanza non arrivava in Maremma come facevano quasi tutti, ma si fermava nelle nostre zone e precisamente alla Ripuccia da Beppe del Lapi; era un caso unico. Le pecore pascolavano nei campi e il colono Lapi riceveva in cambio forme di pecorino. Il pastore, Giuseppe Innocenzi di Dicomano, continuò a svernare da noi fino al 1957/58. Aveva una cagna esperta di nome Lupa e bastava un fischio e un cenno per fargli radunare il gregge: avrà avuto duecento pecore.
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Citte vanitose. Alcune ragazze hanno sempre coltivato la loro vanità pavoneggiandosi oltremodo, mentre altre, in modo esagerato, cercavano di apparire premurose e amorevoli. Ebbene, una volta c’erano due vocaboli per indicarle:
“spepina” e “doda”.
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Pantaloni e calze. Non c’era negli anni Cinquanta del Novecento una particolare circostanza o rito che segnasse il passaggio graduale all’età superiore, ma si potevano leggere dei segni dell’avvenuto salto di categoria di un ragazzo o di una giovane: erano i pantaloni lunghi a 12/13 anni e le calze di nylon a 15/16 anni. Quest’ultime erano gioia e delizia per le signorine, ma dato il costo vivevano nell’attenzione continua per la paura di smagliarle. Si, si può affermare che questi due simboli mostravano il passaggio dalla fanciullezza all’adolescenza, e spesso si doveva lottare mesi, se non anni, per metterseli.
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Il Chiù. Quando cantava a primavera:
“Chiù, il foco a letto non si mette più!”.
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