Quercegrossa (Ricordi e memorie)
CAPITOLO VI - LA COMPAGNIA DI S. ANTONIO
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Introduzione
(1) La Compagnia a Quercegrossa
(2) La soppressione del 1785 e ripristinazione
(3) Il Libro dei Capitoli
(4)Amministrazione e attività
Arredi e culto
(6)Funerali e varie
La stanza della Compagnia
Dopo alcuni secoli di arrangiamento in chiesa o nella canonica, non avendo mai posseduto locali propri, dal 1876, col curato Regoli, la Compagnia si provvide finalmente di un proprio ambiente per tenervi le riunioni del Consiglio, le adunanze del popolo e usarla anche come cucina. Infatti, la domenica pomeriggio del 16 luglio 1876 si discusse sulla “proposizione” del parroco di fare una stanza e cucina per uso della Compagnia. I Fratelli, stante tutta la spesa di ristrutturazione a carico del parroco, decisero che la Compagnia dovesse pagare per detta stanza un affitto annuo di lire 14 a titolo di pigione. Inoltre incaricarono il camarlingo di provvedere la stanza dei mobili necessari dandogli facoltà senza alcuna restrinzione.
Entrando oggi nella canonica è la stanza subito a destra quella che fu destinata alla Compagnia. Usata in seguito come cucina personale da don Grandi, mantenne questa condizione anche al tempo di don Ottorino Bucalossi, poi divenne sala ricreativa.
Le cappe
In antico di color nero, divennero bianche dal 1800 e il 4 maggio 1804 si deliberava la spesa di 44 lire per l’acquisto "di due pezzi di tela per fare le cappe per i nostri fratelli della nostra Compagnia". Il 21 giugno successivo vennero pagate circa lire 21 per la fattura dei cordoni, dei bottoni e cucitura delle cappe. Nel 1855 si registra un’accomodatura di cappe a lire 2,10 e nel 1858 per tre cappe nuove e accomodatura delle vecchie lire 24.5. Un evento insolito curioso, e senza risposta, si ha due anni dopo, nel 1860, quando si noleggiarono le cappe dalla Compagnia di S. Caterina di Siena "prese per la processione della Festa". Il nolo è modesto: 15 soldi e 4 denari.
Immagini di S. Antonio
Ad un certo punto nella Compagnia subentra l’uso di consegnare agli iscritti una immaginetta o santino di S. Antonio. Dai resoconti risulta che questa consuetudine, come quella di stampare i Capitoli per le famiglie, abbia preso campo nell’Ottocento e inizialmente le immagini del Santo venivano date a coloro che consegnavano il grano per la festa, e solo in un secondo tempo è estesa alle famiglie e poi ai singoli aderenti come dal secondo dopoguerra quando i santini sono distribuiti a chi paga la quota annuale. La prima menzione a Quercegrossa si trova nell’anno 1825 sotto la voce "SS. Antoni fatti stampare" con una spesa di lire 4. Successivamente, nel 1838, sono stampati 300 “S. Antonio” e nel 1839 ecco che si spendono lire 15 presso la stamperia di Onorato Rossi di Siena per 200 immagini di S. Antonio e 150 copie di Capitoli della Compagnia. Da allora la stampa di santini e capitoli divenne frequente e già nel 1840 lire 15 sono per la stamperia Porri per 150 Capitoli e 200 S. Antonio "per la cerca del grano". Nel 1860 sono 10 le lire di costo per 500 S. Antonio. Nel 1913 si spendono lire 4,50 per 300 immagini e nel 1920 lire 12 per 500 "Santi". Si deve andare poi al 1945 per ritrovare la voce di spesa per 300 santini ad un costo di lire 155, e nel 1946 sono fatti stampare per i capitoli 1945-46 altri 600 Santini (ultima registrazione). Purtroppo delle tante copie stampate dei Capitoli non c’è rimasto traccia e così sono introvabili anche i santini più antichi.
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Due santini moderni di S. Antonio distribuiti ai Fratelli della Compagnia di Quercegrossa.
L’altare della Compagnia
Attribuiti al primo rettore don Carducci, gli altari laterali ebbero subito una dedicazione. Infatti, uno di essi, e precisamente quello in cornu epistolae, cioè a destra guardando l’altar maggiore, venne subito riservato a S. Antonio e assegnato alla Compagnia. I vari inventari descrivono il suo aspetto che rimane immutato fino al 1802 quando il priore Pasquini al tempo di don Bianciardi si fece parziale carico del suo rifacimento in perfetto stile neoclassico. Due imponenti colonne su base cubica con capitelli corinzi, reggevano un’accennata trabeazione terminante con decorazione a voluta. Un spazio di finto marmo in sintonia con le colonne e altre simili fasce sui gradini, sovrastava e chiudeva la decorazione. Un’iscrizione sotto la mensa ci ricorda il generoso Priore che contribuì alla sua costruzione e un completo verbale ci rammenta come nacque il restauro:
“Al nome Santissimo di Dio, e così via
L’anno del Signore 1801 e dì 9 del mese d’agosto. (Domenica) Essendo stato intimato il Capitolo per ordine dell’onorando Priore della nostra Compagnia Sig. Giovanni Pasquini, il quale veduto lo stato disdicevole ed inconveniente dell’altare di detta Compagnia mosso da zelo e pietà verso il nostro Santo Patrono Antonio da Padova si offrì volontariamente di edificare l’altare in onore di detto Santo contribuendo per metà alla spesa che occorrerà per la costruzione del medesimo a forma della perizia ascendente a lire Dugento ottanta e ridotta a lire dugento dieci purché dalla Compagnia stessa fosse supplito per il residuo. E siccome detta Compagnia non è in grado attualmente di fare la spesa predetta volle e vole che capitolarmente venga approvata detta sua pia intenzione perché a suo tempo contribuisca per l’altra metà alla spesa di scudi quindici, obbligandosi intanto tanto esso onorando priore che il Molto Rev.do Sig. Francesco Bianciardi Parroco e correttore della medesima sborsare dei propri fino a tanto che non sarà in circostanze la compagnia suddetta farà la restituzione predetta di scudi quindici non potendosi ciò effettuare senza capitolare deliberazione così propose mandarsi a partito detta sua pia volontà e quando resti vinta per due terzi di voti favorevoli s’intenda approvata e data facoltà al Correttore pro tempore di detta Compagnia di pagare detta somma. Raccolto il numero fu trovate essere di 39. In seguito mandato a partito la proposizione furono trovati favorevoli n° 38 Contrari 1. E finalmente detto l’Agimus fu sciolto il capitolo. E in fede Io Giovanni Pasquini Priore”.
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L’altare dedicato a S. Antonio fin dalla sua edificazione a opera del Rettore Carducci. La nicchia al centro che ospita la statua del Santo è stata realizzata a fine Ottocento. L’attuale aspetto dell’altare risale al 1802 quando venne rifatto col concorso del priore Pasquini come dalla scritta commemorativa sotto la mensa: ”IL PRIORE GIOVANNI PASQUINI RESTAURAVA L'ALTARE DELLA COMPAGNIA DEDICATO A S. ANTONIO DA PADOVA”.
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Realizzato l’altare in quello stesso 1802, la Compagnia saldava il suo conto di lire 105, ossia la meta della spesa. L’anno precedente era stata realizzata una grande cornice di legno per il quadro dei protettori che si trovava ancora sull’altare, con la spesa di 4 lire e altrettante ce ne vollero per la sua doratura. Questa cornice venne rimossa dopo poco tempo. In quei primi anni dell’Ottocento si portarono a compimento altre migliorie all’altare come la realizzazione di due tovaglie con tela e lino marcate con il titolo della Compagnia e consegnate al sig. Curato nel 1806. Nel 1807 si fece costruire la predella in legno.
Stendardo
L’11 ottobre del 1914 il camearlengo Angiolo Masti registrava nel libro cassa della Compagnia la spesa di lire 100 "del stendardo". Da allora la stendardo della Compagnia ha accompagnato tutte le processioni della festa, preceduto soltanto dalla croce. Nel 1940 la notizia della primo intervento di restauro e infine, nel 1989, ormai usurato e difficile da rammendare, è stato sostituito da uno nuovo, simile, fatto realizzare da don Pierino Carlini nel 1989. Nel 1949 si sostituiva la vecchia asta dello stendardo con la nuova, costruita da Brunetto Rossi per una spesa di lire 210.
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Lo stendardo della Compagnia fatto nel 1914. All’interno dell’ovale vi era una immagine del Santo, come appare dalla processione del 1947.
La Statua di S. Antonio da Padova

Ai tempi di don Rigatti, sacerdote rigoroso e solerte, venne realizzata la statua di S. Antonio da Padova per sostituire la vecchia immagine nelle processioni della Compagnia e fosse al contempo un punto di riferimento per il culto. Nel verbale della riunione dell’11 luglio 1880, scritto su un foglio volante di un quadernone dell’epoca, egli verbalizza in qualità di Correttore pro tempore, l’adunanza "del Seggio della Compagnia del nostro S. Protettore Antonio" convocata dal priore Sig. Cesare Ticci con l’intervento di tutti e cinque gli "Uffiziali". "Fu trattato della spesa da farsi per la statua del nostro Santo come fu rilasciato dai Fratelli nell’Adunanza generale tenuta il 20 giugno passato". Don Rigatti lesse la lettera dell’artista che avrebbe realizzato la statua di carta pesta dell’altezza di un metro e 30, che intendeva volere non meno di lire 150 ed esser liberato da ogni spesa di porto e di volere, inoltre, un anticipo di lire 50 e il rimanente alla consegna. Il Seggio non ebbe da fare nessuna osservazione alla richiesta ma si oppose al pagamento dell’anticipo con la minaccia di doversi rivolgere ad altro artista nel caso di insistenza dell’artefice. Deliberò di pagare l’intera somma alla consegna e votato il progetto esso venne approvato.
La statua venne realizzata dall'artigiano Giuseppe Benelli di Prato e collocata nella nicchia scavata sopra l’altare della Compagnia e sembra che in seguito per un certo tempo sia stata provvisoriamente tenuta sopra uno dei due altari laterali.
Col passare degli anni si richiesero piccoli interventi di manutenzione alla statua che vennero registrati bilancio: 1908: Speso per comodare S. Antonio dal Rossi una lira;
1947: Per riparazione statua di S. Antonio, conto Rossi Brunetto lire 680.
Ma, nonostante la riparazione, la statua presentava danni vistosi tanto da comprometterne la stabilità e per questo don Ottorino, pochi anni dopo il suo arrivo a Quercegrossa fece realizzare la nuova statua, (quella nella foto a fianco) che presentava leggere modifiche di portamento rispetto all’antica.
Nel 1940 si realizzò una cordicella per l’altare di S. Antonio con una costo di lire 7. Probabilmente serviva per scoprire la statua nei giorni della Festa o nei momenti di preghiera.
Nella foto la statua fatta realizzare da don Ottorino Bucalossi in sostituzione di quella danneggiata.
La processione della Festa della Compagnia
Nelle due foto che seguono si vedono la statua di S. Antonio e lo stendardo della Compagnia nella processione del 15 giugno 1947.
Foto di Brunetto Rossi.
Alcune giovinette, dinanzi allo stendardo, spargevano petali di colorati fiori di ginestra e altri colorati sulla strada sulla quale sarebbe passato il Santo. Una Sorella della Compagnia col velo bianco e guanti portava lo stendardo e alla nappa un’altra Sorella. In tempi più recenti erano gli uomini a svolgere ogni servizio nella processione e la nappa era tenuta da un bambino. Nella foto successiva la reliquia del Santo protettore tenuta dal pievano di Lornano con a fianco, in cotta, don Sampieri di Basciano. Dietro, la primitiva statua del Santo. Nell’Ottocento per un certo periodo la reliquia venne affiancata da due ceri accesi portati dal Fratelli. Chiudeva la processione, nel tragitto verso il Castello, il gruppo degli uomini.
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La reliquia

Difficile stabilire chi e quando abbia portato la reliquia di S. Antonio alla devozione del popolo di Quercegrossa. Ho già accennato che potrebbe essere stato al tempo del primo rettore Carducci ma mancando qualsiasi testimonianza e documento di autenticazione della stessa, ogni ipotesi è plausibile. Stesso dicasi per il reliquiario che contiene l’osso del Santo.
Venerata e baciata dal popolo alla fine della processione e della benedizione in chiesa che chiudeva la giornata della Festa, questa reliquia ebbe per così dire il suo momento di gloria a metà Ottocento quando fu portata a Siena e sfilò nelle sue strade insieme ad altre nella solenne processione della Domenica in Albis del 7 aprile 1839, al tempo del vescovo Mancini. Non era la Compagnia di Quercegrossa tra le quattro estratte a sorte che avrebbero partecipato alla processione, ma fu presente soltanto con la reliquia. La consegna della stessa era avvenuta da parte del signor Giuseppe Donati, senese, rappresentante della parrocchia che "diede" ai signori Deputati un reliquiario di legno, intagliato e dorato, alto tre quarti di braccio contenente un osso di S. Antonio, senza nessun altra descrizione. Dopo la domenica e un altro verbale di riconsegna, si riportò il reliquiario a Quercegrossa con una spesa di poche lire come annotò il Camerlengo della nostra Compagnia. La principale reliquia nella processione di quell’anno, come si legge dal rendiconto della Deputazione, fu il Sacro Simulacro del Gloriosissimo Patriarca S. Giuseppe che si venera nella chiesa della Contrada dell’Onda unitamente alle “Sacre reliquie del velo della Vergine Maria della Contrada della Tartuca - Del manto delle stesso S. Giuseppe della Contrada del Drago - Del Precursore S. Giovanni Battista della Pieve del Bozzone - Di S. Tommaso Apostolo della Pieve di Val di Pugna - di S. Domenico dei RR. PP. Gavotti - di S. Antonio da Padova della cura di Querce-Grossa - di S. Enrico e di S. Giulia spettanti a pie persone”. Tra le oblazioni in contante pervenute dalle parrocchie di campagna figura naturalmente Quercegrossa con 39 lire e l’offerta di n° 7 cuori d’argento. Questi cuori, per un totale di 83, vennero dati alla chiesa di S Giuseppe cui apparteneva il Sacro Simulacro.
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Particolare del reliquiario contenente un osso di S. Antonio.
Altre della Compagnia
Il 29 giugno 1804 si parlò e si votò sulla proposta di celebrare la festa di S. Antonio Abate annualmente, da parte di 5 Sorelle, ma non è chiaro se venne approvata, ma senz’altro fu respinta perché non se ne hanno altri riferimenti.
Nel 1805, al sig. Cicali, pittore, per aver pitturato le mazze della nostra Compagnia, lire 2.6.8.
Nel 1807 si spendono lire 25 per n° 10 ceri di legno gessati con suoi lumicini di latta e lire 24 per un baccino e mescirobba per la lavanda.
Nel 1808 speso per n° 18 candelieri inargentati ed un paio di cartegloria, lire 42.
Nel 1824 si registra la spesa per libbre 1 ½ di cioccolata, per servire i sacerdoti in tempo di funzioni.
Il 14 luglio 1878 furono prese deliberazioni relative alle processioni o altre cerimonie, dove nessun Fratello invitato dal parroco o chi per esso, “non doveva prestarsi con la cappa”. Si sottintende che la cappa era riservata solamente ai riti della Compagnia e la delibera escludeva altre forme di servizio e rappresentanza, come ad esempio quello dei mazzieri della Compagnia in cappa che anche ai nostri tempi si prestavano per tutte le processioni, sia stata quella del Giovedì Santo o quella della Madonna, a settembre.
Nel 1937 a Mori Dino per incomodo, lire 5: per condurre la nuova macchina di don Grandi.
Nel 1950 per le aste al baldacchino, lire 1500.
Le quote riscosse erano chiamate “capitoli” da caput (capo); era la quota individuale.
Per Capitolo si intende anche la costituzione o regola della Compagnia e la riunione in assemblea dei Fratelli. Compagnia deriva da "cum-panis", ossia colui o coloro con i quali si divide il pane.
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