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IL TROMBETTA
La presente Edizione è sotto la salva guardia della
Legge del Luglio 1793, e del Decreto Imperiale
del 1. Germinale Anno XIII.



Siena è l'unica città italiana dove continua ininterrotta la tradizione goliardica, suggellata dalla famosa "operetta", rappresentazione teatrale che ha come protagonisti gli studenti stessi.
Pure la farsa che segue, venne recitata nel 1828 da dilettanti universitari, in una stanza adibita a teatrino al primo piano di casa Gori in via S.Martino.
Si tratta di una burla che un Capitano dell'esercito mosse a due donne e ai loro rispettivi mariti, entrambi gelosi e un po' stupidi: un locandiere e un trombettiere.
Lo scherzo venne altresì favorito dalle mogli insoddisfatte, entrambe colpite dal fascino del Capitano, il quale, da vero burlone, non ebbe remore a prendersi gioco pure di esse.
La rappresentazione si presenta ricca di colpi di scena e nei dialoghi fra i personaggi scorgiamo tanti modi di dire oggi caduti in disuso, che talvolta ci fanno sorridere perchè curiosi.
Certamente non saremo mai riusciti ad entrare in possesso di questo manoscritto, se l'autore, tal Pietro Lippi, avesse richiesto l'autorizzazione alle autorità di polizia.
Non avendolo fatto, scattò una denuncia per trasgressione alle leggi sul teatro.
Il Lippi, che era iscritto al terzo anno di legge, dovette pertanto subire un processo, dal quale comunque ne uscì assolto.
Tutto il materiale cartaceo, compensivo dei biglietti d'ingresso (scritti a mano) venne sequestrato ed è per questo motivo che oggi siamo in grado di poter leggerne per intero l'inedito copione.


    


3 ottobre 1828
Nella mia qualità di censore di tutti i teatrali spettacoli mi trovo nella necessità di informare V.S.Ill.ma essere per caso perventuto in quest'oggi a mia notizia che in una stanza terrena, mi dicono appartanente a Casa Gori di S.Martino, si eseguiscono delle rappresentazioni con interrvento di persone a biglietto fino al numero di circa dugento, senza chè alcuno dei recitanti siasi presentato per sottoporre la revisione i pezzi da esporsi sù quelle scene che anzi debbo aggiungere di più per carico di trasgressione dei detti recitanti, dei quali ignoro i nomi, che nella passata Domenica per quanto mi è stato referito, fù recitata la immoralissima, ed indecentissima farsa intitolata = il Trombetta = proscritta, ed eliminata già dal Catalogo Teatrale fino da più anni dalla Presidenza del Governo sedente a Firenze, ed è perciò che la più parte dell'udienza, la quale non era nemmeno della classe più scelta, ne rimase scandalizzata oltremodo meravigliandosi ognuno come si permettessero tali indecenti recite.



In vista che nelle due farse rappresentate nel Settembre dell'Anno scorso (1828) in un teatrino di una casa particolare a invito con biglietto da una società di dilettanti comici, diretta da Francesco Lippi, non vi accadde il più piccolo inconveniente, ed in vista ancora, che lo stesso Lippi fu seriamante avvertito da codesto Tribunale per essersi permesso senza preventiva autorizzazione di fare eseguire tali rappresentanze, che immediatamente cessarono, rimiro opportuno che sia dichiarato, conforme V.S.Ecc.ma propone, non procedersi ulteriormente contro l'imputato Francesco Lippi Autore principale della Trasgressione alla Legge sù i Teatri.



SOGGETTI

Capitano Bellisse
Carota Trombetto de' Dragoni
Teresina sua moglie
Gianfrullo locandiere
Rosina sua moglie
La Bordè Ordinanza del reggimento Primo
Tonino e Nardo Camerieri

ATTO PRIMO

SCENA PRIMA
Teresina stirando della Biancheria: un paniere sopra una sedia.

Teresina: Posso ben stirare, e stirare quanto voglio, che già quel tal Capitano non vuole uscirmi di capo. Almeno potessi avere la contentezza di portargli io medesima la sua biancheria!... Ma pensate, non ho anco finito, eccoti quà il mio vecchio Trombetta, e glie la vuol portare egli istesso. Se con qualchè strattagemma potessi fargli pervenire questo foglio... (cavandolo dal seno) Egli lo leggerebbe, e forse... Oh zitto!... (Corre alla finestra) Mi pareva di aver sentito il suo solito segnale... Oibò!... Non si vede nessuno... (tornando) Questa non è la sua ora. Eh! Maritatevi pure, ragazze mie, e date uno addio alla cara libertà, io non sò che diavolo m'abbia fatto al mondo, che devo portare addosso tutta la penitenza con quella scimmia di mio marito.


SCENA II
Carota con Trombetta in mano, vestito da Dragone, e resta sulla porta avendo sentite le ultime parole

Carota: (Che buona moglie! Lavora, e dice bene di me)
Teresina: Tutto il giorno non fà che fumare, bere, e brontolare.
Carota: (Ha ragione, qualchè volta sono furioso)
Teresina: E la notte poi... La notte...
Carota: (Cosa saprà dire della notte, sentiamo)
Teresina: Che sacrifizio! Se dorme niffa come un bue, se è svegliato, non fà che tossire: mi desta, m'inquieta, mi fà arrabbiare, e finisce di dormire di nuovo come un Tasso.
Carota: (Maledetta! La tosse! D'ora in avanti voglio dormire col sugo di liquirizia in bocca)
Teresina: E ancora se la pretende. Eppure di giorno in giorno ei va sempre più alla bassa colla sua Trombetta.
Carota: Come? Io vado sempre alla bassa colla mia Trombetta?
Teresina: (Povera me! Ora mi son trovata una gatta da pettinare)
Carota: E chi può dire , ch'io sia un cattivo suonatore? Chi può farmi questo torto?
Teresina: Hai sentito? Ci ho gusto. Così imparerai a venire in casa, come si caccia la volpe nel pollajo.
Carota: (Passeggiando) Bernardo Carota un cattivo Trombetta! Io che per quarant'anni ho servito la mia Patria? Che ho dato segnale di tante battaglie; che ho suonato in città, ed in campagna a Generali, a Colonnelli, a Capitani, a Soldati, e tutti mi hanno lodato, tutti sono, rimasti contenti del mio suonare, e dopo tante glorie, la mia propria moglie mi farà il torto di prostituirmi, e di non esser contenta della mia Trombetta?
Teresina: Ma io non parlavo di te. Ci sono tanti altri Trombetta all'armata.
Carota: Ci son certa: ma tu non devi pensare alle trombette degli altri, hai inteso? Carota è tuo marito, e corpo di bacco, se alcuno volesse Trombettare in casa, io gli suonerò una certa suonata!...
Teresina: Ecco quì, subito sospetti; subito gelosie: maledetto quando l'ho sposato un Trombetta! (mette la biancheria nel paniere con disprezzo)
Carota: E così hai da lamentartene?
Teresina: Vuol fare tanto il bravo, e non si ricorda d'esser vecchio, come il tabarro del Diavolo, maledetto quando ho sposato un Trombetta.
Carota: Son vecchio, ma...
Teresina: Oh è qui! Ma la finirò io: me ne anderò, e mi leverò dagli occhi...
Carota: Teresina?
Teresina: Cento smorfie prima di prendermi, poi se n'è annojato: ma non per questo è finito il mondo. Possibile, che non trovi qualchè persona caricatevole.
Carota: Non voglio tanta carità, io.
Teresina: Così sarà finita (prende il paniere per partire)
Carota: Dove vai?
Teresina: Dove voglio.
Carota: Ed al matrimonio, si dice dove voglio?
Teresina: Oh! Per il matrimonio è bell'e finito. Tu siei stanco di me, ed io te ne sollevo.
Carota: Ma via cara Teresina. (accarezzandola).
Teresina: Lasciami stare, tu siei come il coccodrillo.
Carota: Ti domando perdono, moglie mia. (singhiozzando)
Teresina: Per poi strapazzarmi di nuovo.
Carota: Non lo farò più, te lo giuro su questa manina. (la bacia)
Teresina: (Donne, imparate come si fà a condurre per il naso questi vecchi balordi)
Carota: Mi perdoni?
Teresina: Si, si.
Carota: Oh cara! (volendola abbracciare)
Teresina: Via, meno ragazzate (respingendolo). Ora tu stai in casa, che torno subito.
Carota: E dove vai?
Teresina: Non lo vedi, vado dal Capitano a portargli la biancheria.
Carota: Dal Capitano? E conosci tu il Capitano?
Teresina: Io non l'ho mai veduto, ma so che si chiama il Capitano Bellisse, e stà d'alloggio all'Albergo del Leon d'Oro.
Carota: Tu andare dal Capitano? (Se va alla Locanda del Leone, la mia diventa quella del Cervo)
Teresina: Dunque vado.
Carota: Oibò. Dai quì a me, che gliela porterò io. (le leva il paniere)
Teresina: E perchè non posso portargliela io stessa?
Carota: Perchè,... Perchè... c'è il suo perchè. Non sai che il Capitano è un demone, per qualunque piccola cosa va in bestia, e si lascia fuggire di bocca certi spropositi, che sono veramente uno scandalo.
Teresina: Eppure ho sentito, che sia un giovine bello grazioso e ben fatto.
Carota: Bugie, falsità. E un uomo grande, è vero. E' fatto passabilmente, ma il suo corpo è mancante di molte cose.
Teresina: Poverino!
Carota: Ha un colpo di mitraglia in una coscia, che lo fà zoppicare; in un braccio è storpio da una palla di fucile; gli mancano due dita alla sinistra, ed ha qui traverso il naso una sciabolata, che lo rende mostruoso.
Teresina: (Che volpe!) E' così giovane, ed ha tante imperfezioni?
Carota: Giovane? Avrà i suoi cinquant'anni, e forse più; ha il vizio di bere, e quando ha bevuto, è peggio di un orso.
Teresina: Il Cielo mi preservi da un uomo si brutto, e si bestiale.
Carota: Vado io dunque?
Teresina: (Aspetta ora te la voglio fare!)
Carota: Cosa c'è?
Teresina: Lasciami vedere se ci è tutto. (rimette il paniere sul tavolino)
Car: Fai bene, perchè è tanto sofistico.
Teresina: Va in camera, guarda se ci fosse rimasta qualche cosa.
Carota: Oh vado! (Oh son ben furbo io! Come ho saputo farle passare la curiosità! Gran bravo marito che sono! (via)
Teresina: (Levandosi il foglio di seno) Giacchè non vi posso andar io, v'anderai tu, e il compitissimo Trombetta ti porterà presto quì dentro una camicia N°4... (con uno spillo mette in mezzo a una camicia il foglio.)
Carota: Non trovo nulla.
Teresina: Vieni pure che c'è tutto. (rimette a suo luogo la camicia)
Carota: (esce) Hai riscontrato bene?
Teresina: Non può andar meglio, c'è tutto quello che abbisogna.
Carota: Da' qui dunque.
Teresina: Digli che osservi la camicia N°4 credo...
Carota: Cos'ha?
Teresina: Ha bisogno di esser vigilata, e poi che mi dica cosa devo fare.
Carota: Glie lo dirò.
Teresina: Se mai ti rincresce, anderò io.
Carota: Eh ragazzate, per te porto qualunque cosa.
Teresina: Siei proprio un marito compiacente.
Carota: Addio Teresuccia mia. Fai il tuo dovere, e non ti mettere in capo di dir più male di me.
Teresina: Va pure, non ti dimenticare il N°4.
Carota: Non c'è dubbio. Oddio. (via)
Teresina: Ah! ah! ah! Questa è bella! Ho pure trovato la maniera di mandare una lettera al mio bel Capitano... E quel babbuino, ah! ah! ah! Me la godo davvero! Gli ho scritto, e questa sera mio marito... Oh ritorna forse... No, no... Mi pareva aver sentito del rumore. Animo Teresa. Il Capitano è zoppo, storpio, deforme, ha cinquant'anni... Vecchio geloso, te l'ho pur fatta: quando vogliamo noi altre donne, ne sappiamo una certo più del Diavolo. (via)


SCENA III
Camera nella Locanda, posta, in mezzo a due laterali, Bellisse seduto che scrive; La Bordè passeggiando.

La Bordè: Cospetto! Non vi ho veduto mai a scriver tanto. Quest'oggi avete lavorato come un segretario di banco.
Bellisse: Quando si arriva in una guarnigione stabile, bisogna soddisfare ai doveri, ai capricci, ed alle seccature. Quest'è l'ultima, che scrissi, ed è la più importante. Va alla mia sposa.
La Bordè: Che? Alla vostra sposa? Che siete maritato?
Bellisse: Nò.
La Bordè: Chi è dunque?
Bellisse: La figlia di quel ricco mercante di Brescia.
La Bordè: Ah sì, sì: me la ricordo. Volete forse sposarla?
Bellisse: Sposarla, io? Ti pare che io abbia fretta di scrificare la mia libertà? La chiamo sposa, perchè è l'ultima che ho conosciuto.
La Bordè: Infatti, se doveste sposare tutte le donne, che avete conosciute, e colle quali avete fatto all'amore, bisognerebbe che, per alloggio, domandaste il Serraglio del Gran Turco.
Bellisse: Prendi le lettere da portare alla Posta. Queste due sono di famiglia; questa alla Bresciana, questa per quella matrona di Reggio... Alla prediletta di Modena... Alla Bruna di Lodi... Oh la Venere di Torino... Le due Grazie di Alessandria... Prendi, prendi.
La Bordè: Evviva l'abbondanza.
Bellisse: Gran bel mestiere è il nostro! Qualunque siano i disagi, che si soffrono in campagna, vengono ben compensati dalle dolcezze, che si provano in guarnigione, e specialmente qui in Bologna. Ah! La Bordè, hai veduto?
La Bordè: Cosa?
Bellisse: Che bella creatura! Che amabili crature!
La Bordè: Che importa a me delle belle, e amabili creature: Pipa, bottiglia, sciabola, ecco le mie tre innamorate.
Bellisse: E ti par poco delle di sedici in diciotto e venti anni, tutte amabili, graziose... Oh! Questa voglio divertirmi.
La Bordè: Nei pochi giorni che siamo quì, avete già fissata la prima piazza d'assedio.
Bellisse: Dove?
La Bordè: Poco lontano, qui in casa.
Bellisse: La bella Ostessa? Si, mi piace.
La Bordè: Io non so che Diavolo voi abbiate addosso.
Bellisse: Ah! ah! ah! Privilegio dell'uniforme.
La Bordè: E di saper dargliela ad intendere meglio di un altro.
Bellisse: Che fare? Tu sai che io amo di divertirmi; e come si può godere il mondo, senza un cencio di donnetta? Credimi, se tu senti un qualchè sedicente filosofo, che dica male del bel sesso, dagli una mentita per la gola. Costoro fanno poi in segreto, peggio di quello che facciamo noi in pubblico. Una bella donna è il quinto elemento necessario alla nostra conservazione.
La Bordè: E tante volte si converte in una bomba che scoppia per la nostra distruzione. Voi ben lo sapete, a spese vostre.
Bellisse: Non rammentiamo malanconie. Chi naviga deve esser disposto alle burrasche. Ma fai tu, la Bordè che questa sera ho fissato un piano curiosissimo.
La Bordè: Un piano d'assedio, di blocco, o di battaglia campale?
Bellisse: No, un colpo di mano. Una sorpresa graziosissima. Tu conosci la bella Teresina, la mia stiratora?
La Bordè: Uh! Se la conosco. Ma il mio Capitano, non vi è da far bene; suo marito è geloso come un gatto spagnolo.
Bellisse: Ed io ho l'idea di godermi alle spalle di due mariti gelosi, che l'uno creda di corbellare l'altro.
La Bordè: Come fare, se il locandiere si guarda sua moglie, digrigna i denti, e fà i brutti occhiacci?
Bellisse: E appunto voglio, che mi ajuti a burlare il Trombetta.
La Bordè: Il trombetta?
Bellisse: E questi deve darmi mano per prendermi spasso del locandiere.
La Bordè: Son curioso di sapere come volete fare.
Bellisse: Voglio invitarli a cena.
La Bordè: Anche le mogli?
Bellisse: Certo. Senza che l'uno sappia dell'altro.
La Bordè: E i mariti?
Bellisse: E i mariti m'ajuteranno per aver le loro mogli a cena.
La Bordè: Diavolo! Non l'intendo.
Bellisse: Non prenderti fastidio. Ordina la cena, lascia fare a me.
La Bordè: Se la cosa riesce, deve esser ridicola.
Bellisse: Già le donne sono un pochetto innamorate, e cascheranno nella rete. Voglio rendere un po' più socievoli questi due tangheroni, che tengono schiave queste due belle donnette. Già sai, che io ho guerra dichiarata a questi musi burberi, che mi diverto senza pregiudizio dell'onore altrui. Affè, chè questa sera dobbiamo ridere... Ma zitto... Ecco la locandiera.


SCENA IV
Rosina con bottiglia e bicchiere sopra un piatto, fingendo cercare qualch'uno, e detti

Rosina: Anche qui non c'è? Ma dove s'è cacciato? Perdonate cerco mio marito per tutta la casa, e non lo trovo. Non vi abbiate a male, se mi son presa la libertà d'entrare così francamente nelle vostre camere.
Bellisse: Al contrario, la mia cara. Una visita così amabile fà sempre piacere. La Bordè?
La Bordè: Son qui.
Bellisse: E queste lettere?
La Bordè: Subito. (via)
Bellisse: Cosa avete di buono, la mia bella Rosina?
Rosina: Del vino, che volevo fare assaggiare a mio marito. Oh povera me! Siamo rimasti soli.
Bellisse: Ebbene?
Rosina: Vi riverisco. (per partire)
Bellisse: Come? Sì presto volete abbandonarmi? (trattenendola)
Rosina: Per carità lasciatemi.
Bellisse: Non vi lascio di certo. Giacchè l'azzardo mi ha favorito, voglio godere un poco della vostra compagnia.
Rosina: Anch'io, volentieri goderei della vostra. Ma guai a me, se mio marito mi trovasse sola nelle stanza d'un forestiero, e specialmente di un militare giovane e bello come siete voi.
Bellisse: Diavolo! E' tanto geloso dunque questo vostro marito?
Rosina: Oh se sapeste, non vuole che guardi nessuno, e sì, non si possono sempre tenere gli occhi chiusi.
Bellisse: Naturalmente.
Rosina: E poi diciamo tra noi, dopo sei anni di matrimonio, bisogna pure che una donna s'annoj di vedersi tutto il giorno dinanzi un'uomo brutto, vecchio, e seccante.
Bellisse: Ci s'intende: e mi stupisco, che non ve ne siate annojata dopo sei mesi.
Rosina: Oh! Io ero anche prima di sei mesi.
Bellisse: E con me vi annojereste in sei ore, non è vero?
Rosina: Con voi... In verità, ci è una bella differenza, da un vecchio brontolone, ad un giovinotto così garbato.
Bellisse: Eh, furbetta! Io vorrei che voi foste buona con me, come io lo sono con voi.
Rosina: Via, via. Già si fà con chi è buono il Signor Capitano. Se fossi bella, come la moglie del Trombetta...
Bellisse: La moglie del Trombetta? Quale?
Rosina: Oh, si! Fate l'innocente.
Bellisse: Forse la mia stiratora? La conosco così di vista.


SCENA V
Gianfrullo, e detti.

Gianfrullo: Rosina? (di dentro)
Rosina: Oh, povera me... Mio marito.. Per amor del Cielo...
Bellisse: Non temete, ripigliate la bottiglia, e lasciate fare a me.
Rosina: Tremo tutta.
Gianfrullo: (sulla porta)
Bellisse: (passeggiando, ad alta voce) Voglio esser servito meglio. Oh, corpo di dugento battaglioni, fò il mio equipaggio e me ne vado. (a trovarvi nella vostra stanza)
Gianfrullo: (Cosa ha il Capitano, che bestemmia! Qualchè bestialità, che avrà fatto mia moglie.)
Bellisse: Portarmi del vino che non beverebbe uno stalliere... Se non fosse per vostro marito, vi farei... (ve la farei bella.)
Gianfrullo: (si vede che sono un uomo che do soggezzione)
Bellisse: Ringraziate il Cielo, che non vi ho gettato la bottiglia in faccia; perchè quando dico a una persona (che le voglio bene) glielo dico davvero, e voglio vino buono (ed il vostro cuore), vino buono, l'intendete?
Gianfrullo: (Si avanza) Non vi alterate, Signor Capitano, per quanto ho inteso siete in collera per il vino.
Bellisse: Questa vostra moglie non sa servire la gente che spende, e paga.
Gianfrullo: Sentiamo. (beve) (nel medesimo tempo Bellisse dietro a Gianfrullo bacia la mano a Rosina)
Bellisse: Sentirete che è cosa fuori del solito.
Gianfrullo: Avete ragione, quella bestia di cantiniere ha sbagliato numero.
Bellisse: Basta, per questa volta, in grazia vostra; perchè vi voglio bene, ma assai bene... (abbracciando Gianfrullo, e stringendo di dietro a Rosina la mano.)
Gianfrullo: Vi sono molto obbligato.
Bellisse: E quando non avrete occupazione, mi farete un regalo di venire a trovarmi. (a Gianfrullo)
Gianfrullo: Non mancherò di approfittarmi delle sue grazie. (oh, vedete come è innamorato di me!)
Bellisse: (a Rosa) E voi fate le vostre cose con maggior giudizio.
Rosina: Vi prego scusarmi.
Bellisse: Una donna deve sapere fare i fatti suoi senza esser sorpresa.
Gianfrullo: Bravo, riprendetela, che ne avete ragione... Già tu non siei buona, che a far dei malanni.
Bellisse: Del resto, caro Gianfrullo, io avrei piacere di esser servito da uomini, e non già che io sia nemico delle donne... Ma così... Sapete bene... (sotto voce) Anch'io ho i miei intruglietti amorosi, e non vorrei, ah! m'intendete.
Gianfrullo: Intendo benissimo... Che fai tu là? Ti ho già detto che non devi entrare dai forestieri, perchè non tutti hanno la delicatezza del capitano: ma, voi altre femmine, vi credete sempre di far le belle con tutti. Affè, questa volta eri inciampata in buone mani.
Bellisse: Ah! Certo! Con me troverà il suo conto.
Gianfrullo: Sì, si: trattatela alla guerriera.
Rosina: Via, scusate: questa è la prima volta, ma saprò aprofittarmi della lezione. Vi prometto di non fallare mai più. (via)
Bellisse: Questa vostra moglie è una buona donna.
Gianfrullo: Non fò per dire, ma il merito è tutto mio. L'ho saputa correggere in tempo, ed è divenuta un agnello. Mi vuole più bene; senza esempio, è tanto moderata, che non si lascerebbe toccare un dito nemmeno per tutto l'oro del mondo.
Bellisse: Bella cosa per un marito, il poter vivere con sicurezza sul carattere onesto della moglie.
Gianfrullo: E' una bella cosa, al certo: ed io posso vantarmi per un di questi mariti fortunati.
Bellisse: Me ne consolo. Voi siete un bravo amico; a questo carnevale voglio che ci divertiamo insieme.
Gianfrullo: Ed io sarò della partita, molto più che amo il militare.
Bellisse: Il Diavol si è che son nuovo nella città, e per divertirsi bisognerebbe conoscere...
Gianfrullo: Non dubitate, farete delle conoscenze a centinaja... Siete un bel giovine, e le donne vi correranno dietro. Ne abbiamo delle belle, sapete; e, coi forestieri, non son tanto ritrose come colla gente del Paese.
Bellisse: A proposito conoscete voi la moglie di un certo Trombetta de'Dragoni?
Gianfrullo: Di Bernardo Carota, che fà la stiratora in fondo alla strada, vicino al Gambero rosso?...
Bellisse: Appunto, quella.
Gianfrullo: Ih, Ih! Se la conosco. La chiamano la bella teresina; in confidenza avrebbe qualche amoretto?
Bellisse: Vi dirò, mi piace assai.
Gianfrullo: Sapete, che piace anche a me. E' una bella donnetta.
Bellisse: Non la vedo che dalla finestra, perchè quel suo marito è tanto geloso.
Gianfrullo: Lo so, sì, che ha la melinconia di fare il geloso.
Bellisse: In verità le parlerei tanto volentieri.
Gianfrullo: E' cosa facilissima; mia moglie è amica della Teresina, e si potrebbe...


SCENA VI
Tonino, e detti

Tonino: Il Trombetta è di fuori colla biancheria. Padrone, venite a basso, che son giunti dei forestieri. (via)
Gianfrullo: Vengo.
Bellisse: Non dite nulla, sapete?
Gianfrullo: Non dubitate. Oh me la goderei pure, se la potessimo fare al Trombetta! Ci ho tutto il mio genio, quando posso corbellare qualche vecchio marito, che vuol fare il geloso. (via)
Bellisse: Va pure, che se mi riesce voglio godermi anch'io alla tue spalle, se ritrovo il Trombetta così bene disposto a darmi mano per corbellare il locandiere il mio piano va a meraviglia, ed io voglio ridermi di tutti e due come un pazzo.


SCENA VII
Carota con paniere

Carota: Signor Capitano, salute,
Bellisse: Oddio, Bernardo. Avete portato la biancheria?
Carota: Eccola qui (pone sul tavolino)
Bellisse: E' tutto all'ordine?
Carota: M'immagino che sì? Solo mia moglie mi ha detto di avvertirvi, di osservare la camicia di N°4.
Bellisse: Ora vedremo. (s'avvicina, guarda il paniere ripassandolo)
Carota: Me l'ha raccomandato tanto, ed io non fò che le cose per metà ho fatto subito l'incombenza
Bellisse: (Una lettera! Ora capisco.)
Carota: Credo, che abbia bisogno... Che so io... Basta, vedete voi, e se mi darete qualche risposta, io la porterò a mia moglie.
Bellisse: Per ora non saprei, che risposta darvi: (Non ho ancora letta la lettera, e costei vorrebbe la risposta)
Carota: Bene, bene. quando comandate.
Bellisse: E perchè non conducete voi qualchè volta vostra moglie?
Carota: Perchè ha molto da fare: non esce mai di casa.
Bellisse: Ho sentito bene, che avete una moglie molto giovane, e bella.
Carota: Giovane e bella! Vi hanno burlato. Di già di questi sfaccendati, che si divertono alle spalle degl'infelici ve ne sono assai. Ha un piede lungo lungo, ed una gamba corta corta, che al camminare di quà, e di là. Qui poi davanti e di dietro ha un pajo d'accidenti ridicoli, che le seppeliscono le spalle.
Bellisse: Davvero?
Carota: Con un occhio guarda a ponente, e con l'altro a levante; un naso fatto a peperone; un becco che rassomiglia un becco d'anatra: Quando parla, fischia; i capelli hanno disertato; i denti le son caduti; e le altre bagattelle hanno la ruggine, e mille malanni.
Bellisse: Basta così, mi avete spaventato. Costei deve esser un mostro.
Carota: Un mostro, appunto; un mostro di natura.
Bellisse: (che briccone!)
Carota: (E che tutti mi abbiano a far la caccia alla moglie. Eh, ma grazie al Cielo, io ho una buona testa, e non me la fanno!)
Bellisse: (Io son curioso di leggere questa lettera)
Carota: Signor Capitano. (a partire)
Bellisse: Aspettate... Avrei bisogno...
Carota: Son qui a servirvi.
Bellisse: Voi potreste farmi un piacere. Già non si tratta niente di male, sapete; e poi ogni fatica merita premio, e se mi ajutate a riescire nel mio intento, c'è un regalo di sei zecchini.
Carota: Dite pure: fidatevi a me, e riescirete.
Bellisse: Voi conoscete qui la mia bella locandiera?
Carota: Ho capito di che si tratta: dite la verità, ne siete innamorato?
Bellisse: Non posso negarlo.
Carota: E' un pezzo di stuzzica appetito, che non c'è male.
Bellisse: Ma quel suo marito...
Carota: Niente: non ve ne prendete pensiero; glie la faremo su gli occhi, colui è un martuffo¹ di prima sfera.
Bellisse: Sappeate, che momenti sono ho ricevuto un suo biglietto...
Carota: (Dalla locandiera, un biglietto? Oh donne, donne! Grazie al Cielo la mia non è di queste)
Bellisse: E quello, che è meglio, il marito istesso...
Carota: Come!
Bellisse: Il marito istesso me la portò.
Carota: Egli istesso?
Bellisse: Colle sue proprie mani.
Carota: Colle sue mani? Un biglietto dalla moglie? Oh, quadrupede a testa armata!
Bellisse: Sentite, sentite quello che mi scrive.
Carota: Sì, sì leggete che riderò alle spalle di questo marito balordo.
Bellisse:: (legge) "Gentilissimo Capitano. Caro"
Carota: Eh il principio, non è cattivo. Poverina la compatisco, ha un marito tanto martuffo¹.
Bellisse: Oh sì veramente martuffo¹. "Mi è di somma consolazione il vedere, che vi ricordiate di me, giacchè due volte il giorno ho il piacere di vedervi passare dalle mie finestre."
Carota: Cosa c'entrano le finestre?
Bellisse: Vuol dir, mi vede passare, nell'uscire di casa, o dalle finestre di cucina, o da quelle di camera sua.
Carota: Ah, va bene.
Bellisse: "Desidererei di potermi abboccare con voi, ma quell'asino di mio marito non mi lascia un momento".
Carota: Sentite, come parla di suo marito? Oh, la mia non parlerebbe così.
Bellisse: "Se avessi l'occasione di portarvi la biancheria..."
Carota: Che, che! Che imbroglio è questo?
Bellisse: Lasciatemi finire. "Se avessi l'occasione di portarvi la biancheria da tavola, e da letto..."
Carota: Sì, sì, capisco. (Mi era venuto freddo, ma già la mia Teresina non è capace di sognare queste brutte cose)
Bellisse: "Potrei così tra le sei, e le sette della sera... a casa da me... In tempo che mio marito va alla ritirata..." (legge sottovoce, che Carota non intende)
Carota: Questi mariti sono pure incomodi.
Bellisse: Ma ce ne sono pure de' comodi, il mio caro Bernardo.
Carota: Come sarebbe questo della lettera. Oh le gran bestie si danno al mondo!
Bellisse: Alle corte, volete voi buscare questi sei zecchini?
Carota: E perchè nò!
Bellisse: Ebbene. Andate a casa, prendete una veste di vostra moglie, e portatela qui da me.
Carota: Cosa ha che fare una veste di mia moglie?
Bellisse: La Donna mi scrive, che a motivo della gloria del marito, bisognerebbe che si portasse in luogo terzo. Sarà casa vostra dove farò una buona cena.
Carota: O questo poi no. In casa mia non si fanno cene.
Bellisse: Avete paura, che la bruttezza della moglie ci faccia perdere l'appetito?
Carota: Appunto, in riguardo di questo lo dicevo.
Bellisse: Perciò mi farete il piacere di mandarla fuor di casa, perchè non voglio che veda i fatti miei.
Carota: La manderò da sua sorella; così rimarrete soli, ed in piena libertà.
Bellisse: Siamo intesi: andate a prendere il vestito, e non lo consegnate che nelle mie mani. Intanto io darò gli ordini opportuni al locandiere perchè allestisca la cena.
Carota: Il locandiere deve allestire la cena? Oh bella, bella in coscenza mia.
Bellisse: Rideremo, sì; e m'impegno di farvene veder una più bella...
Carota: Lo credo: voi siete terribile contro questi mariti che fanno i gelosi. Oh, è pur la bella cosa l'essere accorti in questo mondo, altrimenti si rischierebbe d'esser gabbati!

<¹ Martuffo = Tonto, babbeo>


SCENA VIII
Gianfrullo, e detti.

Gianfrullo: Signor Capitano, il vostro Capo di Brigata chiede di voi con premura.
Bellisse: Vado. (giudizio, e prudenza!) (a Carota)
Carota: (Non dubitate)
Bellisse: (Silenzio sapete) (a Gianfrullo)
Gianfrullo: (so il fatto mio)
Bellisse: Addio; siamo intesi, a rivederci: locandiere, mettete la mia biancheria nella mia stanza, e fate mettere la cena all'ordine. (via)
Gianfrullo: Signor Carota, vi riverisco (ironico)
Carota: Signor Gianfrullo, vi saluto (ironico)
Gianfrullo: Che fà vostra moglie?
Carota: Bene: e la vostra?
Gianfrullo: Perfettamente ai comandi...
Carota: Già ai comandi... (guardandolo bene, bene, mi pare cha abbia in testa il sole in capricorno)
Gianfrullo: (mi sembra di vedere la luna d'Agosto in primo quarto) Siete venuto solo?
Carota: Ho portato la biancheria al Capitano.
Gianfrullo: La biancheria eh! Perchè non glie la porta al Capitano la vostra moglie? Vi sarà la sua gran ragione.
Carota: Per quell'istessa ragione, per la quale le locandiere sono costrette di parlare ai forestieri colla carta, e colla lingua.
Gianfrullo: Spiritoso, bravo!
Carota: Grazie.
Gianfrullo: (Egli crede burlarmi, ma il burlato è lui)
Carota: (Il buon uomo pretende darmi la baja¹; ma io le so tutta)
Gianfrullo: Vi ha parlato il Capitano?
Carota: Già mi ha parlato, e il tutto è d'accordo.
Gianfrullo: D'accordo, eh? (ride)
Carota: Questa sera... Così... Fra le cinque, e le sei.
Gianfrullo: Capperi! Siete nmolto istruito.
Carota: Certo so anche della bella donnetta.
Gianfrullo: Anche della bella donnetta? (Oh che bestia!)
Carota: (che animale!) (ride)
Gianfrullo: Ridete voi?
Carota: Mi piace l'allegria.
Gianfrullo: Che belle donnette.
Carota: Tra le cinque, e le sei...
Gianfrullo: Ne siete contento?
Carota: Contententissino.
Gianfrullo: Evviva il buono stomaco!
Carota: Evviva il petto di bronzo!
Gianfrullo: A rivederla, Signor Bernardo.
Carota: I miei complimenti, Signor Gianfrullo.
Gianfrullo: (Che bestione!)
Carota: (Che tamburo!) (partono guardandosi, e ridendo, Gianfrullo a destra, e Carota dalla comune.

<¹ Darmi la baja = Prendere in giro>


ATTO SECONDO

SCENA PRIMA
Bellisse, e la Bordè dalla comune.

Bellisse: Dunque la bella Trombetta verra?
La Bordè: Casualmente l'ho incontarta per istrada, che andava dalla sorella: mi ha detto che di là sarebbe venuta, all'imbrunire, a ritrovarvi.
Bellisse: Va ottimamente. Fin'ora le cose camminano meglio di quello, ch'io l'aveva ideato. Tutto mi favorisce. Ricordati star bene attento di fare quanto siamo rimasti d'accordo.
La Bordè: Non dubitate, farò le mie sentinelle e le mie ronde con tutta precisione. Ed il nostro locandiere?
Bellisse: Anche egli deve portarmi una veste di sua moglie, avendogli dato ad intendere che deve servire per la bella Trombetta.
La Bordè: Fate conto di far cambiare d'abito le donne?
Bellisse: Certamente è necessario, acciocchè trovandosi ciascun marito colla propria moglie, creda all'abito d'esser con quella dell'altro.


SCENA II
Tonino con due lumi, e detti

Tonino: Buona sera, Signor Capitano.
Bellisse: Addio Tonino.
Tonino: La Bordè, a basso c'è una macchinetta¹ assai graziosa che domanda di voi.
La Bordè: Buono, buono. Ho capito. (via per la comune)
Bellisse: Caro Tonino, avrei bisogno che mi facesse un piacere.
Tonino: Due, se occorre: non avete che a comandarmi.
Bellisse: Or ora, vorrei che tenesse abada il padrone; e domandando egli della moglie, sapeste eluderne le ricerche in modo, che non prendesse sospetto.
Tonino: Non volete altro? Sarete servito.
Bellisse: Vi sarà da bere.
Tonino: Ed io farò un brindisi alla sua salute. (via)
Bellisse: Se riesco davvero, ho da rider di molto. Con una rete sola ne avviluppo quattro in una volta. Già mi attendo vedre la Trombetta, e la locandiera su tutte le furie, disperarsi, chiamarmi traditore. Ma già vi sono tanto avvezzo, che non mi riesce più nuovo: e poi il gusto maggiore è quello di fare andare in collera le donne, e sentirmi dire, cane, assassino, infedele, traditore... Oh zitto!.. Viene la prima... mettiamoci in aria di dolcezza.

<¹Macchinetta = Giovane donna>


SCENA III
Teresina, La Bordè, e detto.

Bellisse: Venite avanti, non abbiate timore. (conducendola per mano, ella avrà un drappo in testa per nascondersi il volto) Amabile Teresina! Che fortuna è la mia di potervi una volta vedere vicino, e baciarvi la mano?
Teresina: Caro Capitano, se sapeste... La paura appena mi lascia avere il respiro. Non ho mai azzardato di fare queste cose. E' la prima volta, e quasi ne sono pentita...
Bellisse: Animo; La Bordè... Due sedie.
La Bordè: Subito (eseguisce)
Bellisse: E poi all'erta in sala... (Chiama la locandiera)
La Bordè: Mi pongo in sentinella morta¹ . (via)
Bellisse: Sedete, bella Teresina. (sedono)
Teresina: Non vi prometto di trattenermi molto, perchè mio marito potrebbe andar da mia sorella.
Bellisse: Non vi anderà, nò; questa notte è occupato, non per niente vi ha mandata fuori casa.
Teresina: A dire il vero, questa novità mi ha sorpresa. Ne sapete il motivo?
Bellisse: Lo dirò di sicuro, ma per ora non serve, che lo sappiate.
Teresina: Ma pure...
Bellisse: Vi basti sapere, che questa sera ceneremo insieme.
Teresina: Oh non è possibile!
Bellisse: Oh sarà possibilissimo.
Teresina: Per bacco! Vi devo essere anch'io?
Bellisse: La bella Teresina ci sarà, e cenerà con me.
Teresina: Ho capito, volete scherzare con me. Insomma avete letta la mia lettera?
Bellisse: L'abbiamo letta insieme io, e vostro marito.
Teresina: Povera me, che sento? Voi mi avete precipitata.
Bellisse: Perchè?
Teresina: Bella cosa! Ecco qui quello che si guadagna con questi uominacci: fanno gli appassionati, per burlare le povere donne. Siete tutti bugiardi; mentitori
Bellisse: Adagio: meno fuoco, e più rispetto alla virilità. Io non so di cosa possiate dolervi? Ho letto la lettera con vostro marito, ma egli credeva che fosse della locandiera.
Teresina: A proposito, mi è stato detto, che fate le carte con Rosina?
Bellisse: Io? Se appena la conosco. Eh, cara, quando voglio bene a una persona, i miei occhi non sanno vedere altra donna. Io non sono di quelli, che sanno tenere il piede in due staffe.
Teresina: Sarà, ma c'è tanto poco da credere a voi altri uomini.
Bellisse: Io sono la fenice della fedeltà.
Teresina: Oh fedele come son io, non è possibile a trovarsi.
Bellisse: Evviva dunque i due fedeli.

<¹Sentinella morta = colui che spia i movimenti del nemico, mantenendo una totale immobilità per non esser individuato>


SCENA IV
La Bordè, e detti

La Bordè: (Sulla porta) Capo posto, all'erta. Viene il convoglio. (via)
Teresina: Chi viene? (si alza)
Bellisse: Non saprei. (si alza)
Teresina: Per carità, non fate che io sia sorpresa qui.
Bellisse: Entrate qui dentro.
Teresina: E poi?...
Bellisse: Sbrigatevi. (La fa entrare nella camera a destra, e chiude)


SCENA V
Rosina, e detto

Rosina: E egli vero, che volete parlarmi?
Bellisse: Verissimo: gentil Rosina.
Rosina: Comandatemi.
Bellisse: Sappiate, che vostro marito ha ottenuto la licenza, che questa sera favorirete da me a cena.
Rosina: Possibile! E mio marito ha detto di sì?
Bellisse: Anzi non ha trovato la minima difficoltà.
Rosina: Che prodigio! Bisogna dire, che sia vicino a morire.
Bellisse: Non ostante voi non dovete dirgli nulla: aspettate che sia egli il primo a parlarvene.
Rosina: Farò come dite. In verità questo dopo pranzo mi avete levato un grande imbarazzo.
Bellisse: E voi non eravate capace di ritrovare quella piccola malizia.
Rosina: Oh io no, in verità; perchè quella è stata la prima volta...
Bellisse: Una volta con tre zeri appresso.


SCENA VI
La Bordè, e detti.

La Bordè: Capo posto, il convoglio al magazzino. Viene il Gianfrullo.
Rosina: Mio marito?
Bellisse: Nascondetevi qui, altrimenti s'insospettiosce.
Rosina: Ma se...
Bellisse: Fatemi questo piacere, e ne sarete contenta.
La Bordè: Al magazzino, al magazzino (la fa entrare a sinistra)
Bellisse: Zitto, e stai attento.


SCENA VII
Gianfrullo, e detti

Gianfrullo: Sono a tempo? (con abito nel fazzoletto)
Bellisse: Giungete opportunatamente. Son questi gli abiti?
Gianfrullo: Questi.
Bellisse: C'è anche il drappo da porre in testa?
Gianfrullo: C'è tutto tal quale va mia moglie quando esce. Credete, se non sapesse che il colpo è fatto per quel balordo di Trombetta, mi ci ingannerei io pure.
Bellisse: La Bordè, prendi il vestito e portalo alla Teresina, e dille che si vesta subito; se facesse difficoltà, minacciala.
La Bordè: Ho inteso. (prende un lume, e via a destra)
Gianfrullo: E la bella quando verrà?
Bellisse: Zitto, è già venuta.
Gianfrullo: Forse è là?
Bellisse: In quella camera, dove ho mandato il vestito.
Gianfrullo: Oh, povero Bernardone. (ride) Te l'ho fatta.
Bellisse: Prudenza! Non vi fate sentire.
Gianfrullo: Sentite: ho l'onore di dirvi, che una burla simile, a me non la fareste.
Bellisse: Ma voi siete un uomo esperto.
Gianfrullo: E mia moglie, grazie al cielo, è una buona donna.
Bellisse: Ci s'intende.
La Bordè: (esce col lume) Il cambiamento si farà.
Bellisse: A voi, Gianfrullo, rimane a voi poi l'incombenza di venir qui a prendere la bella, che è già in questa camera alla destra, e per la scaletta segreta, me la condurrete fino alla porta della casa del Trombetta, dove io sarò a riceverla, (e pagarvi i sei zecchini convenuti)(sotto voce)
Gianfrullo: Io lo farò ben volentieri.
Bellisse: Ma ci vuol discrezione, non l'obbligate a parlare, perchè... sapete bene, le donne hanno sempre dei riguardi. Certo queste cose si fanno all'incognito.


SCENA VIII
Carota con abito nel fazzoletto, e detti

Carota: (di dentro) Si può venire?
Bellisse: Diavolo! Il trombetta! Il trombetta, non vorrei che vi vedesse.
La Bordè: Venite con me, la scala è senza lume; Statemi di dietro, così passeret oltre, senza che vi veda.
Bellisse: Sollecitate la cena.
La Bordè: Andiamo. (conducendo dietro Gianfrullo)
Bellisse: Ora viene il meglio da ridere.
La Bordè: (di dentro) Andate pure avanti, Bernardo.
Bellisse: Chi è? (andando avanti la scena)
Carota: (sulla porta) Sono io. Ho domandato di fuori per non interrompere, se mi capisce, perchè in queste cose ci vuol giudizio.
Bellisse: Non si può negare che non abbiate una gran presenza di spirito.
Carota: Non dirò per lodarmi, ma nel reggimento, al certo, posso lodarmi d'esser il più furbo.
Bellisse: Son questi gli abiti?
Carota: Son questi; voleva porseli per uscire, ma le ho detto che andavo dalla sorella, non era necessarjo.
Bellisse: Ora mi nasce una difficoltà... E come farà la locandiera a mettersi questi abiti, se sono fatti per vostra moglie? E' così storta, gobba, e malfatta...
Carota: (Ohimè! Non guadagno più i sei zecchini!) Certo è vero... ma... (Oh, diavolo! come si fà adesso?)
Bellisse: Vi pare questa la mia difficoltà?
Carota: E' giustissimo. Ma dirò: mia moglie ha, come tutto il sesso femminino, la sua gran dose d'ambizione e di amor proprio, e, a dispetto di tutte le sue imperfezioni, cerca di comparir bella, e di coprire tutte le magagne, a forza di legarsi da una parte, metter dei puntelli da quell'altra, di cacciar stoppa, cuscinetti, intrichi, e riempire il voto s'attilla, s'addrizza, e di veste in modo, che sembra una figura da dipengersi cosicchè se voi la trovaste per istrada, direste che pare una giovine di vent'anni.
Bellisse: Questo mi sorprende.
Carota: E che? Non è mai succeso a voi di vedere da lungi una galante figura snella, ben fatta correndole appresso credendo di vedere una bellezza, e trovare in vece, una cosa rustica puntellata in cento parti, e colla facciata mezza diroccata, e dipinta a fresco? Così vi succederebbe con mia moglie.
Bellisse: Io dicevo per timore, che non le andassero bene; ma quando è così, date pur quà, ed attenderete. (prende il lume, il fagotto, e va a sinistra)
Carota: Davvero non avrei creduto, che la locandiera fosse capace... ma... andate un po' a fidarvi delle donne!... pur troppo anche la mia Teresina potrebbe cadere in qualche debolezza! Ma ci son io, che ho due buone lanterne in fronte, che mi lasciano vedere così di lontano. Eh! a Bernardino Carota, la non si fà
Bellisse: (Ritorno, e mette il lume sul tavolino, e chiude) Eccomi a voi.
Carota: E come farà la locandiera a venire?
Bellisse: E' già quà.
Carota: Già quà?
Bellisse: Zitto, è nella mia camera a sinistra.
Carota: Nella vostra camera? ed il marito?
Bellisse: Mette all'ordine la cena.
Carota: O vero stoccafis di marito!
Bellisse: A voi do l'incombenza di condurmela bella fino alla porta di casa vostra, dove, fatta la consegna, vi saranno i sei zecchini.
Carota: Credete che verrà?
Bellisse: Verrà sicuramente, ma conviene che siate allo scuro.
Carota: Oh sì, sì; all'oscuro per rispetto della verecondia.
Bellisse: Per la strada usatele convenienza, non la fate parlare.
Carota: Faremo alla muta.


SCENA IX
La Bordè, e detti.

La Bordè: La munizione è all'ordine.
Bellisse: Andiamo adunque. Hai la chiave della scala segreta?
La Bordè: E' quà.
Bellisse: Venite a impararne la strada, e poi tornerete.
Carota: Il corpo di riserva va bene.
Bellisse: La Bordè, tu farai portare la cena. (Starai all'erta, e subito che il Trombetta è passsato avviserai la locandiera)
Carota: Son con voi.
Bellisse: (Va con Carota)
La Bordè: (prende il lume e resta bujo)


SCENA X

Teresina: (Apre la porta, e mette fuori il capo) Non si sente più alcuno. Tutto è bujo. (si avanza) Il capitano mi ha detto di no, ma scommetterei di aver sentito la voce di mio marito... che mi volesse tradire? (s'apre la porta di Rosina) Sento rumore.
Rosina: (sulla porta) Non sò che pensarmi; mi fà vestire, non sò di qual abito, mi nasconde quando viene mio marito. In verità quasi ho intenzione di andarmene. (per partire)
Teresina: (Qui c'è qualcuno: sarà il Capitano, che per cauzione mi viene a levare allo scuro) Zì... zì...
Rosina: Zì... zì...
Teresina: Dove siete?
Rosina: Son quà. (avvicinandosi)
Teresina: (Che voce è questa?)
Rosina: (Questa non mi par voce da uomo) (s'avvicinano, si prendono per mano, e coll'altra si toccano a vicenda lungo il braccio, la testa, e le vesti)
Teresina: Come diavolo siete vestito?
Rosina: Dico a voi come lo siete.
Teresina e Rosina: Una donna! (ciascuna da se)
Teresina: Chi siete?
Rosina: Son chi sono e voi?
Teresina: Per bacco! mi direte chi siete, o no?
Rosina: Questo lo pretendo da voi.
Teresina: Sarete qualchè frasca.
Rosina: E voi qualchè cosa di peggio.
Teresina: Ti graffierò gli occhi.
Rosina: Non mi fai paura (per baruffare, si sente rumore di sedia, o tavola, che cade per terra)
Teresina e Rosina: Salva, salva (vanno nelle sue camere)


SCENA XI
Carota solo


Carota: (Mette fuori la testa dalla camera, in atto d'ascoltare, poi s'avanza) Qui non si sente azzittare, ed io bestia mi sono mezzo fracassato un ginocchio contro una sedia, perchè mi pareva sentire delle voci femminine... Più che ci penso, mi vien da ridere. Per altro gli stà bene a quel babbione di Gianfrullo, che vuol fare il marito geloso... Eh! A custodire una donna non è tanto facile: ci vuole la testa di un Carota. Teniamoci alla sinistra, e andiamo a condurre la bella. (va alla porta, l'apre, e mette dentro il capo) Zì... zì... Ehm... Ehm... Eccola, come è ubbidiente.


SCENA XII
Carota e Teresina

Teresina: (sulla porta) (Questa voce è d'uomo) Zì... zì...
Carota: Zì, zì, (Carota la prende per la mano). Son qui amabile Venere, andiamo.
Teresina: Povera me! mio marito? (per fuggire)
Carota: Oibò, di qui non si fugge.
Teresina: (Son perduta) (si cuopre col drappo)
Carota: Non abbiate timore, già so tutto. Ho ordine di portarvi fino alla porta di casa mia. Là c'è l'innamorato Rinaldo, che dalle mie mani istesse riceverà la sua bella Armida. Tutto è fatto con le dovute regole. Mia moglie non c'è, e voi ne starete là in pace, senza timore e senza soggezzione.
Teresina:: (Qui bisogna farsi coraggio)
Carota: Son'io l'araldo fortunato, che il Capitano ha prescelto, perchè sà che sono discreto. Che manina delicata! Che braccio ritondetto! Guardate se questo è un boccone per quella bestia di marito! Mia moglie non ha niente che fare con voi. Io vi ho sempre voluto bene, cara la mia Rosina. Già siamo all'oscuro, lasciate che vi abbracci (nell'atto d'abbracciarla, Teresa gli dà uno schiaffo) Oh Diavolo! mi tocca la caparra in anticipazione... Eh, non ho fortuna colle donne!
Teresina: (Se potessi fuggire)
Carota: Alto là, fermatevi. Oh corpo della Lince, chiamo vostro marito.
Teresina: (In che imbroglio son'io mai?)
Carota: Bisognerà andare colle buone per non perdere i sei zecchini. Venite con me e non temete, che mi prenderò più alcuna libertà con voi. Ho scherzato, andiamo, il Capitano vi attende. Mi adatto volentieri a rendergli questo servizio, perchè avete un marito geloso, e voi avete tutta la ragione di fargli questa burla, per renderlo più umano. Andiamo. (vanno per la comune)


SCENA XIII
Rosina sola uscendo


Rosina: Tutto è in quiete. E' meglio cogliere questo momento. Quella donna non può essere che la moglie del Trombetta... Frasconcella¹! Voglio uscire, voglio chiudere la stanza, e, dopo escir spogliata, metterò sossopra tutta la locanda, e la svergognerò dinanzi a tutti. Oh, la non gli passa a buon mercato. (per uscire dalla comune tentone)

<¹Frasconcella = Fanciulla>

SCENA XIV
Gianfrullo e detta.

Gianfrullo: Chi va là? (prende per mano, tocca con altra panni, e drappo)
Rosina: Meschina me!
Gianfrullo: Ah! Siete voi? Cospetto¹! Siete molto impaziente, non avete aspettato nemmeno ch'io venissi a prendervi
Rosina: (Come mi batte il Core!)
Gianfrullo: Il Capitano è già a casa da voi, che vi aspetta. La cena è partita appunto adesso; e sapendo che ci siete voi, ho fatto certe salsette, che vi sveglieranno tutto l'appetito. Andiamo, bella Teresina. Non vi biasimo, no, anzi ho piacere che la facciate q quello zangherone. I mariti gelosi non meritano compassione; venite con tutta sicurezza. Io stesso vi conduco fino alla porta, e poi vi lascio in piena libertà.
Rosina: (Se finisce bene, è un prodigio!)

<¹Cospetto = Presente>


SCENA XV
Tonino e Nardo

Tonino: (Esce il primo, col lume, una bottiglia, e due bicchieri, osserva, e poi si rivolge e chiama Nardo) Vieni, Nardo, senza timore, non c'è nessuno.
Nardo: Siei ben certo, che il padrone sia uscito?
Tonino: Sì, ti replico: ho conosciuto la voce, che confortava la macchinetta¹, a farsi coraggio, e camminare.
Nardo: Dunque mettiamoci quì, e beviamo allegramente.
Tonino: Già per ora in locanda non vi son faccende.
Nardo: A proposito; e la padrona?
Tonino: E' venuta qui dal Capitano, e non è più sortita.
Nardo: Che sia andata anch'essa alla cena?
Tonino: Non so dirtelo: ma quel ch'è sicuro, già che due volte fù aperta e chiusa la porticina della scala segreta.
Nardo: Eh! Qui v'è dell'imbroglio, molto più che La Bordè rideva come un matto.
Tonino:: Ed il padrone nel consegnarli la cena pure rideva, e rideremo anche noi, e ridiamo alla salute delle mogli furbe.
Nardo: Ed a quella de'mariti indulgenti.
Tonino e Nardo: Evviva. (toccano)

<¹Macchinetta = Giovane donna>


SCENA XVI
Carota e detti


Carota: Evviva: alla salute di chi si beve?
Tonino: Delle mogli furbe.
Nardo: E de' mariti indulgenti. Evviva (bevono)
Carota: Ah, sì, sì: di queste bestie ne conosco anch'io (Sta a vedere che costoro sanno il raggiro del Capitano, e la balordaggine di Gianfrullo)
Tonino: Se comandate con noi...
Carota: Grazie. Andatemi a prendere una bottiglia del vino migliore che abbiate, perchè voglio fare un brindisi anch'io
Nardo: Subito
Tonino: Sai, Nardo, che è meglio andarsene.
Nardo: Sì, sì: andiamo in un altra stanza (vanno)
Carota: In verità ci sono dei gran balordi: mi pare impossibile, che possa darsi un marito tanto stivale. Prepara la cena colle sue mani per la moglie. Ah ah ah! Son cose grosse, grosse! Sarebbe l'istesso, come se io avessi ceduta la mia casa. per la stessa mia moglie. Uh! testa di legno, da me bisognava venire a prendere lezione, per imparare come si fà a corbellare la curiosità della moglie e di questi cicisbei. Affè, potrei metter cattedra per rendere accorti i mariti. Eh! non v'è da dire, ho un cervello che vale un perù¹.

<¹Vale un Perù = Che vale moltissimo, con allusione alle ricchezze di quel Paese>


SCENA XVII
Gianfrullo con lumi, due bottiglie, bicchieri, e detto.

Gianfrullo: Chi è, che desidera? la bottiglia?... Oh voi qui?
Carota: Son io...
Gianfrullo: Ecco la bottiglia.
Carota: Troppo gentile
Gianfrullo: E se mi permette il garbatissimo signor Carota, io gli farò compagnia.
Carota: E chi può ricusare la società di un amabilissimo Gianfrullo.
Gianfrullo: Sediamo.
Carota: Sediamo pure
Gianfrullo: (Voglio divertirmi)
Carota: (Ora sì, che voglio godermi) (versa da bere)
Gianfrullo: Compare Bernardo Tucè.
Carota: Tucè, compare.
Gianfrullo: Evviva le donne belle.
Carota: Ed i mariti di testa forte.
Gianfrullo e Carota: Evviva.
Gianfrullo: Cosa vuol dire che non siete a casa?
Carota: Dirò: a casa questa sera, c'è un mio amico, che da una cena ad una certa tal quale conoscenza incognita.
Gianfrullo: E voi, con tutta prudenza, l'avete lasciata in libertà.
Carota: Ci s'intende: so il viver del mondo.
Gianfrullo: Bravo, mi consolo con voi.
Carota: Ed io me ne congratulo. (che bue!)
Gianfrullo: (che talpa)
Carota: E la bella Rosina dov'è?
Gianfrullo: In camera sua a lavorare.
Carota: Ah! intendo. Starà facendo qualchè ornamento per suo marito.
Gianfrullo: E' più probabile, che a ciò sia occupata la bella Teresina.
Carota: Che spirito, che acutezza spunta da quella fronte.
Gianfrullo: Tutta forza dello specchio, che ho dinanzi.
Carota: (Adesso voglio acciecarlo coll'oro) Ho paura che questo zecchino sia falso.
Gianfrullo: Oro, oro, Compare.
Carota: Vedo che anche voi ne avete la vostra parte.
Gianfrullo: L'ho guadagnato or ora.
Carota: Anch'io ho avuta questa sorte, momenti sono.
Gianfrullo: (Che l'abbia rubato?)
Carota: (Scommetto, che costui ha assassinato qualchè forestiero)
Gianfrullo: Sei zecchini, Ungari
Carota: E sei sono pure i miei. (se gli potessi mangiare i suoi, ne farei dodici)
Gianfrullo: Alle volte si guadagna più in ore che in giorni.
Carota: Facciamo una cosa. Noi abbiamo sei zecchini per ciascheduno, o tutti dodici io, o tutti dodici tu.
Gianfrullo: In che maniera?
Carota: Con una scommessa.
Gianfrullo: E quale?
Carota: Che abbia a vincere di noi quello, che per primo farà arrivare sua moglie in questa camera.
Gianfrullo: Oh, oh! Bernardo, questa scommessa non posso farla. Così è lo stesso che volermi regalare i sei zecchini.
Carota: Non importa. Io sono generoso. Ecco i miei sei.
Gianfrullo: Ed ecco i miei.
Carota: (A due passi di questa mia cognata, mentre ei si dispera, io vado a prenderla, e mi becco i sei zecchini)
Gianfrullo: (Già li zecchini sono nella mia scarsella¹, chiamo e mia moglie comparisce subito)
Carota: Animo, abbia luogo la scommessa.
Gianfrullo: Io ci sono, Ehi, Rosina? (chiama sulla porta)
Carota: Oh sì, sì, chiama pure, che ora ti sente)
Gianfrullo: Rosina, Rosina? (come sopra)
Carota: (Ora gli crepano i polmoni)(ride)
Gianfrullo: Rosina, Rosina? Maledetta, è sorda.
Carota: Ha turato il buco dell'orecchi, non sente. (ride)

<¹Scarsella = Borsa di cuoio per il denaro>

SCENA XVIII
Tonino e detti.

Tonino: Comandate quelche cosa?
Carota: In vece della Rosa, è venuto il Tulipano,
Gianfrullo: Dì a mia moglie, che venga qua.
Tonino: Vostra moglie?
Gianfrullo: Sì, mia moglie.
Tonino: Ma ella non è in casa.
Gianfrullo: Non c'è in casa?
Carota: Rosina, Rosina? chiamate più forte, (ride)
Gianfrullo: E dov'è andata?
Tonino: Il signor Trombetta saprà dirvelo. (via)
Gianfrullo: Corpo delle Botti! Dov'è mia moglie? (con furia)
Carota: Un quarticello d'ora fà era in questa camera a sinistra.
Gianfrullo: A sinistra? E un quarticello d'ora fà, la vostra era qui in questa camera destra.
Carota: Eh, la mia Teresa in questa camera a destra... Ah, corpo di cento mila squadroni d'Ungari, dammi la mia moglie, o ti taglio a fette.
Gianfrullo: Ditemi voi in prima, dove avete condotto la mia?
Carota: Io l'ho condotta a casa mia dal Capitano.
Gianfrullo: Ed anch'io ho condotto Teresina dal Capitano.
Carota: dal Capitano? La scommessa non vale più: questi sono i sei zecchini, che mi ha dato il Capitano all'atto della consegna (riprende i denari)
Gianfrullo: Ed a me pure mi ha dati questi sei.
Carota: Gli abbiamo guadagnati onoratamente. Qua la mano: confessiamo d'esser due bestie colla testa armata.
Gianfrullo: Ma corpo... Farsi imprestare un vestito...
Carota: Zitto, l'ho imprestato anch'io.
Gianfrullo: Farmi preparare la cena...
Carota: Ed a me farsi cedere la casa, la camera, e tutto il resto...
Gianfrullo: Moglie traditrice!
Carota: Marito balordo!
Gianfrullo: Voglio fare un macello.
Carota: Alto là! Col Capitano non c'è da fare il bravo. Egli ci ha corbellato con buona maniera, e di sopra a più ci ha pagati. Le bestie siamo noi: La prudenza, in questi casi è una virtù eroica. Andiamo a sorprendergli. Io ho la maniera d'introdurci in casa senza esser veduti. Là ci metteremo in agguato, e staremo a vedere. La mia Trobetta sarà pronta, e nel più bello caccerò una suonatina, che imbroglierà la cavalleria. Coraggio, Gianfrullo: quello che è fatto è fatto: una mano lava l'altra, e noi ci siamo pettinati l'un coll'altro. Andiamo. (vanno)


SCENA XIX
Camera in casa del Trombetta con due porte laterali. Tavola con lumi, apparecchiata.
Capitano nel mezzo, Teresina alla dritta, e Rosina alla sinistra, cenando. La Bordè che serve.

Bellisse: Via che si fa? La malinconia è inutile. Già la burla è fatta; ed io ne ho tutto il merito. Animo, che si mangi allegramente.
Teresina: Voi avete un bel dire, ma ritrovarci così tradite sulla buona fede?
Rosina: E quello che è peggio, ritrovarci traditi tutte e due in una volta.
Bellisse: Perdonate, riparerò al mio errore come meglio potrò.
Teresina: (Mi volete voi bene?)
Bellisse: (Siei l'anima mia)
Rosina: (Mi amate veramente?)
Bellisse: (Tu siei la mia fiamma)
La Bordè: Il Capitano fa fuoco da due parti. Se fosse assalito a fronte, farebbe fuoco a Batalion Carè.


SCENA XX
Carota, e Gianfrullo colla testa fuori della portiera, uno per parte.
Si fanno cenno l'uno coll'altro di tacere, ad ogni movimento di personaggi, si ritirano

La Bordè: Capitano il nemico è alla vista.
Bellisse: Bella Rosina, come siete contenta del vostro Gianfrullo.
Rosina: Mi contento per forza; ma tanto sofistico e rabbioso, che se crepasse domani, mi farebbe una gran carità.
Gianfrullo: (Fa degli atti di rabbia. Carota lo trattiene)
Bellisse: E voi, bella Teresina, come ve la passate col vostro Trombetta?
Teresina: Me la passo bene quando non ho davanti quella mummia d'Egitto. Ho fatto la bestialità di sposarmi ad un vecchio, ed ora mi tocca ad inghiottire la pillola amara, senza speranza di guarire, come il Beccamorto non mi ajuta col portarlo a seppellire più presto. (Carota, e Gianfrullo come sopra)
Bellisse: La Bordè, versaci da bere.
La Bordè: Subito.
Bellisse: Facciamo un brindisi alla vostra sincerità, ed alla balordaggine dei vostri due mariti.
Rosina: Il mio è peggio di un bue.
Teresina: Ed il mio vale meno di un asino.
Bellisse: Brave, evviva. (nell'atto di bere dà un tocco Carota)
Rosina e Teresina: Evviva.
Rosina: Ah!
Teresina: Povera me! (alzandosi)
Bellisse: Cos'è questo? (si alza)
Gianfrullo: Pettegola, ci siei. (uscendo minaccioso)
Carota: Indegna! ho inteso.
Bellisse: Alto là: cos'è questa impertinanza di venire a disturbare un galantuomo, che si stà divertendo?
Carota: Con mia moglie, non creò divertimenti.
Gianfrullo: E' nemmeno colla mia.
Carota: Altrimenti, corpo de'Dragoni...
Gianfrullo: Ah, cospetto delle Brente¹
Bellisse: Adagio; meno fuoco: e tutto si può accomodare. Non ho io pagato sei zecchini per ciascuno?
Carota: E' vero; ma...
Bellisse: Chi mi ha prestato la casa?
Carota: Io.
Bellisse: Chi ha fatto la cena?
Gianfrullo: Io.
Bellisse: Voi, da chi siete stata a me consegnata?
Rosina: Da mio marito.
Bellisse: E voi, chi vi ha condotta?
Teresina: Bernardo.
Bellisse: Dunque se siete stati pagati, se da voi medesimi mi avete condotte le proprie mogli, perchè venite adesso ad interrompere la nostra allegria, e fare delle lagnanze, e minacciare. Confessate piuttosto d'essere due bestioni, mettetevi le mani al petto, ed incolpate voi stessi.
Carota: Gianfrullo?
Gianfrullo: Carota?
Carota: Sai che c'è di nuovo? Qui è meglio starsene zitti, altrimenti ci tocca anche ad esser bastonati... Ma con te poi faremo i conti.
Teresina: Con me i conti son belli e fatti.
Carota: Come, sfacciato?
Teresina: Non alzare la voce, vecchio babbuino, o inalzerò le mani in modo, che te ne farò portare i segni tutto il resto de' pochi giorni, che ti rimangono di stare al mondo.
Bellisse: Teresina, prudenza.
Teresina: Ma dunque?
Bellisse: Dunque la pace termini tutti. Io non voglio mettere dissapori ed inamicizie tra marito e moglie. Il mio è stato uno scherzo, per burlarmi della loro gloria. Ma l'onore non ne ha sofferto. Eccovi le vostre mogli. Perdonatevi reciprocamente, ridetene, e compatite.
Rosina: Marito!
Gianfrullo: Basta... Ti perdono.
Teresina: Bernardino!
Carota: Bernardone, mi devi dire, tanto più me lo merito, quanti che ho avuto la malinconia di credermi un marito di gran cervello. Si, lo confesso, sono una vera Carota, un perfetto Bernardone.
Teresina: Mi hai tu perdonato?
Carota: Via in grazia del Capitano, dei sei zecchini, e della cena, che finiremo di mangiare, fò un atto eroico, e ti perdono.
La Bordè: La pace è fatta: evviva.
Bellisse: Ora, siamo in buona allegria.
Teresina: E che si rida alle spalle...
Carota: Del povero Trombetta.
Gianfrullo: E del locandiere.
Bellisse: Che, per fare i gelosi, sono stati burlati

<¹Brente = Bigoncie a forma di cono che si caricavano sulle spalle per trasportare il vino>




(Archivio di Stato di Siena - Governo di Siena - Atti Economici - 1260)


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