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- TINO STEFANONI -
PITTORE DEL PALIO DEL 16 AGOSTO 2006


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Tino Stefanoni, artista di Lecco, ha dipinto il Drappellone del Palio dell'Assunta 2006. Il Drappellone è stato dedicato all'Unesco

Il blu del fondo domina, insieme al bianco usato per la figura della Madonna, il drappellone realizzato da Tino Stefanoni per il Palio di mezz'agosto. Unico elemento definito la Torre del Mangia, ammorbidita, nella sua staticità, da tre nastri, sul lato opposto della seta, che ripropongono le contrade senza ricorrere all'iconografia tradizionale. Tino Stefanoni, nato a Lecco nel 1937, e presente, a pieno titolo, nel panorama internazionale dell'arte, è riuscito, ancora una volta, ad affrontare un argomento: il Palio, e un sentimento: l'amore/passione, con la sua tavolozza di disarmante ovvietà. Ancora una volta la magia è uscita dal suo pennello impastato di colore pieno. Tonalità di mistero, di sogno svelato, ma non raccontato. Così l'immagine assurge il ruolo di “suono”, creando un connubio tra visibilità ed emozionalità.
La Vergine è pura luce, non ha tratti che la definiscono. Ed è giusto così. Anche gli elementi-soggetto della corsa non ci sono. Al loro posto il simbolo della città. L'elemento peculiare: la torre ai cui piedi si corre il Palio. Anche l'ambientazione temporale non è quella calda del pomeriggio, ma quella della sera inoltrata. E' la penombra amata da Stefanoni e proposta nel drappellone quasi come una lettura diversa della Festa. Quella dei vincitori e quella dei vinti. “Un momento di tensione e di attesa silenziosa - come lui stesso la definisce -, non sinistra ma solenne dell'evento, perché il Palio è ricco, anche e soprattutto, di chiasso sfrenato e di profondo silenzio”. Un'opera d'impatto, la sua, che stimola la mente ad immaginare quello che l'essenziale ha volutamente dissolto dentro una calma innaturale, la stessa che precede la corsa.
L'artista è riuscito, infatti, a raccontare non quello che gli occhi vedono, bensì quello che il cervello percepisce senza registrare.
“Se avessi dovuto dare un titolo al Cencio - ha detto - sarebbe stato 'la notte prima'. Dopo il frastuono del giorno la città, all'imbrunire, inizia il suo riposo rigeneratore, dove c'è il tempo di pensare e riflettere sulle forti tensioni del giorno dopo”. L'attesa, dunque. La stessa che vede i cavalli allineati per la partenza, quando nessuno tra le migliaia di persone presenti riesce a sentire il silenzio che incombe sulla piazza, se non coloro che ne sono al di fuori. Oppure la calma improvvisa dopo un'overdose di gioia, quella spossatezza che segue dopo il te deum di ringraziamento e le lacrime versate per gioia o rabbia. Attraverso questa estrema razionalità nel rappresentare la realtà, Tino Stefanoni riesce a far vivere l'arte nella sua forma più pura, riportando il suo stile a presentare e non a rappresentare. Una sorta di rispetto assoluto verso una concettualità che deve appartenere a tutti, e dove tutti possono riconoscersi. Palese, quindi, leggere nel drappellone la città nella notte della vigilia, quando l'eco dei canti e dei brindisi si è dissolto nel buio, e quella che è in attesa del corteo serale della contrada che ha vinto. La Siena che il pittore ha visitato prima della realizzazione del Palio “per captare quanti più segnali possibili, vivendo la città di giorno e passeggiando di notte fra quelle strade tenute gelosamente buie, così da dare a questa meravigliosa città, almeno la notte, la possibilità di essere solo, e gelosamente, dei senesi”.
Facile capire che la Festa senese è difficile da raccontare, sia con le parole, che con le immagini. Più facile invitare a vederla, come, in fin dei conti, ha fatto Tino Stefanoni con quest'opera: un vero e proprio preludio caratterizzato da un intenso lirismo.